CONVERSAZIONE CON ALBERTO TOSO FEI
1) Scrittori, ma anche musicisti, intellettuali e studiosi che da Venezia e dal Veneto parlano al mondo hanno un merito che va riconosciuto. Quello di essere dei protagonisti, portatori di novità, da qui, vivendo qui e soprattutto producendo qui. Ti senti portatore di questa centralità veneziana e veneta nella produzione culturale della città e della regione?
Mi pare di poter affermare che vi siano segnali precisi di una rinascita della cultura e della centralità veneziana e veneta, che dopo un periodo di generale sottovalutazione (anche e soprattutto degli stessi veneziani) si sta riprendendo faticosamente il ruolo che le compete nel panorama nazionale. Non parlo dei singoli esponenti culturali veneziani e veneti, che non sono mai mancati in ogni settore artistico e letterario, e che portano lustro all’Italia e al mondo, ma dell’utilizzo di stilemi tipicamente locali (anche linguistici) che tornano a diventare sempre più motivo di attrazione culturale per gli altri, tutti gli altri. Nel mio piccolo, iniziative come il Festival dei Misteri o la pubblicazione di libri di apparente interesse locale, vanno a investire di “cultura veneta” un pubblico molto vasto, che dimostra di saper riconoscere e apprezzare quegli elementi di “venezianità” che li contraddistinguono. Certo, il rischio è scadere una volta di più nel folklore a uso del turista, ma mi sembra che una parte cospicua di quelle persone intelligentemente assetate di conoscenza vera apprezzi questa specie di “Rinascenza”.
2) Nel Veneto è possibile essere universali e locali, “glocal”, come usa dire oggi, anche identitariamente, come riusciva ad esserlo Zanzotto che poetava al mondo anche nel suo dialetto…? E’ possibile non sentirsi in periferia? Attraverso voi, uomini di cultura, la si può far finita per sempre con l’immagine del Veneto “Sacrestia d’Italia” (laddove la Sacrestia non alludeva solo alla religiosità popolare, ma anche alla perifericità del luogo)?
Venezia è per sua natura universale e locale, se ne è solo dimenticata per troppo tempo! Io trascorro parte del mio tempo a Roma, per vicende personali: sarà che sono forte delle mie radici, corroborate da anni di studi (e di passione), sarà che comunque quella romana è una bellissima cultura talmente diversa da quella a cui appartengo da non poterla intaccare in nessun modo, ma io non mi sento periferia di nessuno; anzi, rilevo un interesse sincero e crescente per Venezia e i suoi territori, e per la sua storia, a volte conosciuta male o superficialmente in primis da chi abita questi territori. Mi pare che stia emergendo in moltissimi veneziani e veneti una consapevolezza diversa di loro stessi e di ciò che l’esperienza storica vissuta dai loro antenati ha rappresentato per il mondo. Questa consapevolezza genera identità, che non ha nulla a che vedere con pretese serrate ideologiche o riposizionamento dei confini. Quanto più si è forti nella propria identità, tanto più si riesce a trasmetterne i valori più belli e ad aprirsi agli altri, senza alcun timore reverenziale. L’unica cosa che genera chiusura e arroccamento, mi pare, è al contrario la paura, figlia di una identità debole o mal compresa.
3) Sei d’accordo con “Luminosi Giorni” che ritiene molto dannosa la drammatizzazione dei mali della Venezia storica? E che questa drammatizzazione non faccia fare un passo alla comprensione reale del reale fenomeno urbano? Che ritiene dannosa una drammatizzazione frutto di un approccio solo percettivo alla realtà urbana e non contestualizzato nella “normalità” di tutti i centri storici d’Europa?
Non sono d’accordo. Trovo che il presente di Venezia (città storica e non centro storico) sia attualmente – purtroppo – realisticamente drammatico, frutto com’è di una lunga serie di errori di valutazione politica e sociale, che chi vive tra le isole sente sulla propria pelle. Ritengo che nessun paragone sia possibile con ciò che altrove è “normale”. Altrove la città si è sviluppata attorno. Qui ne è sorta un’altra (a dire il vero più di una…) oltre il ponte, con caratteristiche e necessità molto diverse. Lo stesso concetto di popolazione equivalente, che ha una sua logica indubbia, a Venezia dovrebbe essere guardato con la lente della monocultura turistica. Mi pare di poter affermare, e lo faccio seguendo la mia esperienza diretta, che poche delle migliaia, forse decine di migliaia, delle persone che giornalmente vi arrivano per studio o per lavoro (in gran parte – in quest’ultimo caso, per raggiungere alberghi, ristoranti, negozi di “specialità”), non abbia né amore né interesse al mantenimento di una specificità culturale e sociale veneziana che possa uscire dagli ambiti ristretti del loro operare.
4) Parafrasando e un po’ provocatoriamente ribaltando un titolo di un libro di Tiziano Scarpa, Venezia, dal ‘900 in avanti, anche sul piano identitario e quindi “culturale”, non è solo un “pesce” (l’idea è saccheggiata dal titolo di un bel lavoro del gruppo teatrale “Questa Nave”). Nel tuo rapporto con la città non la vedi piuttosto come un “pesce attaccato ad una corda tesa” che si protende da una terraferma che si allarga come un ventaglio ad ovest? Terraferma come settimo sestiere, diventato “un” (e non “il”) nuovo centro cittadino, in una città sempre stata policentrica, dalle origini ad oggi (e che non elimina i vecchi centri, ma ne aggiunge sempre uno nuovo)?
È una visione molto affascinante, e probabilmente quella che più di ogni altra si avvicina alla verità. Bisogna però capire che tipo di identità (tema evidentemente a me molto caro) si vuole andare a costruire. Dal dopoguerra in poi si è fatto poco per mantenere quelle specificità che si sono in maniera del tutto naturale “appiattite” seguendo la cultura dominante, specialmente quella televisiva. E mentre in passato gran parte dei territori veneziani di terraferma e affacciati sull’Adriatico guardavano alla città come a un polo d’attrazione (economico, culturale, sociale, artistico e chi più ne ha più ne metta), oggi questa centralità è – abbastanza comprensibilmente – perduta. In ogni processo di trasformazione qualcosa va necessariamente perduto. Dobbiamo decidere cosa, in funzione del nuovo che vogliamo. Governare ogni nuova nascita, senza lasciare che sia il fato a rimescolare i pezzi e disporli come capita. Solo così, ma è una mia personalissima opinione, godremo davvero e appieno di “luminosi giorni”.