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L’uso e il consumo di alcolici e di superalcolici presso giovani e adolescenti è un fenomeno in espansione. Oggi, in Italia, i ragazzi bevono tanto, fuori pasto e con l’intento di “sballarsi. È un fenomeno, questo, che fino a poco tempo fa era vincolato a modelli culturali anglosassoni e nordeuropei, mentre risultava sganciato da quelli mediterranei, dove il consumo di alcol si limitava ai pasti. Non facciamoci quindi illusioni: il vecchio adagio secondo cui “un bicchiere di vino, a tavola, fa buon sangue”, nelle nostre società post-industriali, è più che mai obsoleto. I giovani mostrano, invece, una forte propensione al “binge drinking”, al bere, cioè, per ubriacarsi. Le ragioni sono tante. Pensiamo, per esempio, ai modelli offerti dai media e dalla televisione. In Italia non esiste il divieto, di pubblicizzare gli alcolici. Non ci dimentichiamo, inoltre, che le fiction e i reality pullulano di personaggi, spesso vincenti e dalle forti personalità, dediti all’alcol e a una convivialità che è sempre sopra le righe, ma che finisce col normalizzare la cultura del bere. Tali modelli fanno breccia nei soggetti più deboli e disorientati che, invece di progettare il proprio futuro, vanno alla ricerca di quegli anestetici che sappiano distrarli dal disagio del presente.
I ragazzi, si sa, sono, per loro natura, incoscienti. La maggior parte di essi, in ragione della propria esuberanza, non è in grado di prevedere le conseguenze di alcuni gesti. Molti giovani non sanno che dai quattordici ai vent’anni è molto facile sviluppare dipendenze da alcol e stupefacenti. Molti, invece, credono di riuscire a smettere qualora lo decidano e se lo vogliono. Il fatto è che nell’immaginario collettivo di molti giovani, per di più, l’alcol non viene percepito come un fattore di rischio, tutt’altro: il bere viene associato a momenti di gioia e di benessere, di successo e di forte socialità. È per molti, un veicolo di integrazione, che regala disinvolta spavalderia. Nei ragazzi come nelle ragazze.
Il guaio è che spesso i genitori sono gli ultimi ad apprendere la deriva di alcuni comportamenti dei propri figli. Sono gli ultimi a sentire quelle urla silenziose che si fanno rumore assordante solo quando l’alcol ha svuotato le anime e i corpi di quelle personalità acerbe. Anche la scuola: non sempre agisce con quel tempismo che invece sarebbe necessario.
I comportamenti di consumo di alcolici diffusi tra i giovani richiedono invece una particolare attenzione e adeguati interventi medico-sanitari e socio-educativi, data la facilità di associazione con altri comportamenti a rischio, quali per esempio, assenze da scuola, riduzione delle prestazioni scolastiche, aggressività e violenza. In numerose scuole, soprattutto superiori, vengono realizzati, di anno in anno, progetti – come per esempio la “pear education” – che vedono la collaborazione di varie realtà educative. I ragazzi si trovano con medici, psicologi, educatori, a compiere un percorso guidato di conoscenza e di riflessione su queste problematiche, con un approccio attivo e consapevole.
Non esistono infine formule giuste da suggerire alle famiglie. Nessuno possiede la patente del buon genitore. Tuttavia, amore, buon senso e livelli di attenzione sempre alti sono requisiti essenziali per restare vicini ai propri figli. Basta intercettarne i bisogni. Anche laddove sembra sia stato eretto il muro del silenzio. Se un padre e una madre sono in grado di ascoltare, riusciranno a sentire anche quelle mute richieste d’aiuto. I figli crescono e ciò è un fatto ineludibile. Ma è anche vero che, in questo viaggio, nonostante vogliano dimostrarci il contrario, desiderano essere accompagnati.