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Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un cambiamento progressivo della lingua italiana, che ha coinciso con un suo impoverimento.
 La lingua, si sa, evolve. È un dato fatale e fisiologico e, senz’altro, non ascrivibile a categorie morali, nel senso che ciò non è di per sé né un bene né un male.
Tale mutamento diventa, però, un fatto negativo se è il risultato di un’operazione di azzeramento di congiuntivi, condizionali, apostrofi, divisioni in sillabe e di tutto quell’armamentario linguistico al quale eravamo abituati. È addirittura riprovevole se coincide con una riduzione di parole, le quali, è noto, nel loro infinito gioco di composizione e di ricomposizione, sono in grado di favorire importanti processi cognitivi. Tanto per intenderci, la ricchezza lessicale equivale quasi sempre a una ricchezza del pensiero e della sua articolazione.
 Nella mia attività di insegnante mi imbatto tutti i giorni in queste trasformazioni. Ho imparato, per esempio, a interpretare il lessico sincopato degli sms che spesso e volentieri viene prepotentemente traghettato negli scritti scolastici: è interessante e bizzarra tanta creatività, notevole tanta capacità di adattamento alle nuove tecnologie, avide di sintesi ma indifferenti alle regole grammaticali ed ortografiche.
Esiste, poi, una certa tendenza, tutta italiana, a coniare neologismi ed espressioni gergali, che variano a seconda dell’ambito di riferimento. Nella scuola, per esempio, si è fatto strada un “pedagogese” infarcito peraltro di contaminazioni aziendali che, se portato all’esterno, ai non addetti ai lavori può risultare vano e retorico. Per non parlare del “burocratese” che impazza ormai in ogni ambito lavorativo. E non dimentichiamoci del linguaggio in uso presso politici e giornalisti, spesso astratto e inaccessibile. 
Non sottovalutiamo, infine, la centralità della televisione, che ha cambiato (in peggio, ritengo) il nostro modo di esprimerci, dando pieno diritto di cittadinanza a parole, locuzioni, modi di dire ben lontani dal linguaggio letterario.
Esiste, dunque, una pletora di sollecitazioni che allontanano sempre più giovani e giovanissimi dalla purezza e dalla correttezza della nostra lingua. Come evitare, allora, questo inevitabile processo di deterioramento? La scuola è la prima ad essere chiamata in causa ed è fin troppo scontato sentenziare che occorrono efficaci strategie educative e didattiche. È vero, non lo nego, ma quali strategie? Forse (e sottolineo “forse” perché non ho certezze) sarebbe utile organizzare, a casa come a scuola, con i bambini, sin da piccoli, giochi con le parole, con le rime e le assonanze, con le concordanze tra le varie parti del discorso, inventando storie e personificando apostrofi, accenti, virgole e punti esclamativi. Si tratta di favorire un coinvolgimento emotivo che produca un progressivo attaccamento alla lingua e alle sue regole fondamentali. E, se ci si crede, si può fare a tavola, in macchina, sul divano o sulla spiaggia. Certo, è una scelta, questa, che richiede tempo e non offre le fantasmagoriche sensazioni di tanti giochi elettronici, ma può forse regalare la magie delle vecchie filastrocche, degli indovinelli e degli antichi tranelli linguistici che tanto ci divertivano una volta. 
Ciò non significa che la scuola o la famiglia debbano porsi come il contraltare della tecnologia e di tutto ciò che essa comporta. È tuttavia necessario che chi apprende sia in grado di distinguere e di scegliere tra i vari registri linguistici di cui dispone. Va bene adottare il linguaggio criptico degli sms, ma guai a trasferirlo nei temi che, invece, dovrebbero continuare a svolgere la loro importantissima funzione espressiva e comunicativa.
 La scuola non può ignorare le incessanti trasformazioni sociali e culturali e con esse anche le evoluzioni che, nel bene e nel male, la lingua subisce. È necessario che ne tenga conto ma deve, nello stesso tempo, essere in grado di prevenire, correggere e regolare le eventuali deviazioni che il cambiamento talvolta impone. In poche parole, chi educa e forma deve trovare il giusto equilibrio tra regola ed eccezione, purezza e contaminazione, grammatica e libertà, innovazione e tradizione, accelerazione e processi di arresto.
Annalisa Martino