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Come prevedibile, il realizzando (?) Palais Lumière di Cardin ha scatenato una ridda di prese di posizione sia pro che contro. Senza entrare nel merito, sono state scritte molte sciocchezze. Anche dal partito dei favorevoli, tra i quali tiepidamente mi annovero. Ma più interessanti sono le reazioni del fronte del NO. Esse infatti offrono una mirabile rappresentazione della gamma di pulsioni emotive e tormenti che si scatenano nelle menti e nei cuori di una diffusa minoranza di nostri concittadini (ebbene sì, per fortuna: minoranza, ancorché nutrita) non appena si affacci all’orizzonte veneziano un’opera di una certa rilevanza.

Una minoranza che qualcuno ha battezzato il partito del NO, e che merita un’analisi antropologica approfondita. Tra le sue fila annovera tipologie umane molto diverse: la signora dell’alta società, che abita magari a Milano, gira in SUV ma è tanto preoccupata per l’inquinamento delle navi (ma farsi i c… suoi no eh?..), l’anziano che rimpiange i bei tempi in cui  pescava in laguna tante seppioline (ed aveva molti anni di meno), l’intellettuale con un’immagine romantica della città che neanche John Ruskin fino, last but not least, all’ambientalista ex sessantottino, magari un po’ logoro e incanutito ma ancora garrulo e vigile nel denunciare l’allarme democratico, auspicare il coinvolgimento dei cittadini, invocare la pianificazione del territorio, ecc. tutto il repertorio, insomma, degli anni migliori.

Persone diversissime che condividono tuttavia molti atteggiamenti mentali. Vediamo i principali:

Un manifesto d Italia Nostra

Un manifesto d'Italia Nostra

  1. il catastrofismo. Il recente passato ci ha offerto il tormentone del caranto che la sub lagunare avrebbe devastato e le apocalittiche previsioni su un bis del naufragio Costa in Bacino, tanto apocalittiche da far perdere di credibilità la realistica valutazione del danno oggettivo di queste navi. Ma è nulla in confronto alle sobrie dichiarazioni della presidente della sezione veneziana di Italia Nostra, Lidia Fersuoch, che a proposito del Palais parla di “abominio” (cito testualmente dal Gazzettino di martedì 24/7) che “ci costerà la cancellazione dalla lista dei siti Unesco”… Mi chiedo: quale credibilità può avere “Italia Nostra” se avvalla queste parole? Come può permettersi una presidente di sezione che spara queste sciocchezze?
  2. la fobia del nuovo. Tutto ciò che è nuovo e moderno, accostato alla città più fragile del mondo spaventa a priori, anche quando si tratta, come appunto il Palais Lumière, di qualcosa a km di distanza. Ma il conservatorismo alligna anche nei confronti della terraferma. Fa paura pensare a Mestre in termini di metropoli (pensate al Palais ma anche al quadrante di Tessera), tutto ciò che minaccia il suo tranquillo status di paesone tutto stretto intorno alla sua Piazza Ferretto. Significativa in tal senso è per esempio la presa di posizione di VeneziaInComune http://www.veneziaincomune.it/sul-palais-lumiere-considerazioni-e-proposte-dellassociazione-in-comune/#more-3965
  3. il benaltrismo. Con i soldi del ponte di Calatrava mettano a posto i marciapiedi. Cardin ristrutturi l’Arsenale se vuole passare alla storia. Cosa serve il People Mover, facciano piuttosto le piste ciclabili.. Credo non si debba aggiungere altro.
  4. il complottismo. Gli interessi del business privato, nella mentalità del partito del NO, sono sempre illeciti o borderline, quasi che l’interesse privato non possa essere un motore di investimento e sviluppo (anche rimanendo nei limiti del lecito). Si veda ancora lo scritto di VeneziaInComune.

Lo dichiaro qui ed ora: ritengo il Partito del NO una lobby che zavorra la città tutta e ostacola il suo sviluppo futuro. Lo considero un rispettabile avversario politico: rispettabile perché esprime comunque una posizione con cui confrontrarsi e, se occorre, scontrarsi, ma pur sempre avversario. E purtroppo annidato in molti luoghi di potere e coccolato dai media.

Una chiosa finale sul Palais:  può piacere o meno ma è di grande impatto, vede la città d’acqua ed è visibile dalla stessa pur rimanendovi a rispettosa distanza (con buona pace della Fersuoch) e sorge su un luogo simbolo della storia recente della terraferma veneziana.  Lo si vedrà da S. Elena come da Favaro, e anche oltre probabilmente. Mi piace pensare che dall’alto abbracci idealmente la nascente Città Metropolitana e ne possa costituire il landmark identitario…  Un simbolo che unisce e crea identità. Perfetto testimonial metropolitano.