Non sono cresciuto in una famiglia retriva o reazionaria, o peggio razzista. Al contrario. Eppure ho il ricordo preciso di una cosa: quando ero ragazzino il termine “ebreo” e i suoi derivati suscitavano in me una sensazione tanto sgradevole quanto confusa. Qualcosa era nell’aria, nel mondo in cui vivevo, a proposito della parola ebreo. Sentivo, senza comprendere il perché, che in quel termine c’era il riferimento ad alcunché di spiacevole, di disdicevole, forse vergognoso, sicuramente – per me adolescente – di misterioso.
Misterioso perché non capivo chi fossero in realtà questi benedetti (o maledetti) ebrei. Che cosa avessero, eventualmente, fatto di male o cosa avessero in se stessi di negativo.
Eppure si tratta di un ricordo che risale ad un tempo relativamente recente: gli ultimi anni Cinquanta, gli anni Sessanta. Un periodo in cui cominciavano peraltro ad essere già noti anche ad un vasto pubblico gli orrori nazisti della shoah e dell’olocausto.
Solo il buon senso, la conoscenza e l’esercizio della ragione, nel corso degli anni, mi hanno liberato da quell’appiccicoso quanto vago e subdolo pregiudizio emotivo, da quella ingiustificata sensazione sgradevole legata al termine “ebreo”.
Il fatto è che stiamo parlando di un pregiudizio fortemente radicato nelle generazioni, che ha risalito il corso dei secoli e proviene da quelli più bui e remoti del medioevo. L’antisemitismo, si sa, non lo inventarono i nazisti, che furono solo i buoni ultimi (si fa per dire) di una lunga e diffusa serie di atteggiamenti antiebraici, costellati di pogrom e persecuzioni in ogni parte d’Europa, complice (e spesso promotrice) la santa apostolica romana chiesa cattolica, che accusava quelle minoranze niente di meno che di “deicidio” (in relazione alla crocefissione di Gesù Cristo).
Sta di fatto che questo pregiudizio velenoso e vischioso ha risalito il corso dei secoli ed è giunto sino a noi, spesso come un inconsapevole fastidio, un rifiuto quasi inespresso. Quasi, però. Perché ancor oggi continua a circolare tra la gente, e lo capti leggero, come il venticello della calunnia. E così gli ebrei sono infidi, avari, tirchi o – figurarsi! – tutti ricchi. Fanfaluche che hanno, ovviamente, una loro ragione storica (perfino le idiozie hanno pur sempre una causa), ma nessunissima verità fattuale.

Nato a Napoli nel 1953, vive e lavora da quarant’anni a Milano. Insegna lettere nella scuola superiore. Ha collaborato con agenzie pubblicitarie, con societĂ di ricerche di mercato e con numerose testate specializzate in management, packaging, marketing, edilizia, arredamento. Ha pubblicato con la Mondadori alcuni testi scolastici e di recente una raccolta di brevi saggi di costume dal titolo “La bussola del dubbio”.