1° luglio 2012. La scuola è finita da qualche giorno. Mi lascio alle spalle, come sempre, un anno ricco di scoperte ma anche di logoranti combattimenti in trincea. Sono soddisfatta e stanca. Finalmente il mare, la spiaggia e il sole abbacinante di luglio: basso Tirreno, alta Calabria. Com’è bello il Tirreno quando è bello! L’affaccio sulle alte coste e sulle scogliere frastagliate dà soddisfazione alla mia vista. Le sue acque regalano conforto al mio fisico stremato dall’afa di questi giorni. I suoi profumi e i suoi colori mutevoli donano pace alla mia anima.
Dovrei sentirmi bene e mettere da parte le preoccupazioni. Ma non è così. Il governo Monti ha annunciato la spending review . Non ho ancora capito bene di che cosa si tratti. Ma non fiuto nulla di buono. Mi sembrano lontani i giorni in cui guardavo con speranza all’esecutivo dei tecnici: temevo, sì, il rigore annunciato, ma mi aspettavo un’equità che avrebbe attenuato il nostro affanno quotidiano. Gli annunci di Monti e Fornero hanno poco di equo. Almeno per quanto riguarda la nostra agonizzante scuola pubblica.
Sono previsti forti ridimensionamenti e tagli per 250 milioni di euro all’istruzione, alla ricerca e alla crescita intellettuale della maggior parte degli studenti italiani. Quelli che frequentano la scuola pubblica, appunto. Ciò significa, ancora una volta, ostacolare il futuro delle nuove generazioni. Significa aumentare presso i giovani l’angoscia dell’incognita. Significa spalancare le porte a quell’ospite inquietante che è il nulla, tranciando così ogni miraggio di certezze.
Non voglio abbandonarmi a scenari apocalittici. La demolizione della scuola pubblica ha avuto inizio prima del governo Monti e aveva trovato nella Gelmini un’accesa pasionaria e, ancor prima nella Moratti una fervida sacerdotessa.
Quest’ennesimo colpo, tuttavia, non me lo aspettavo e, per me che vivo e lavoro ed offro il mio tempo (spesso senza ritorni economici) alla scuola, significa continuare ad arrangiarmi in classe. Significa tentare, con i pochi mezzi che lo Stato mi dà, di “sbarcare il lunario”. Significa compensare con il volontariato (che non ha nulla di professionale) il vuoto delle istituzioni.
Ma non è finita. In tempi di crisi, è ammissibile il sacrificio, quando questo è finalizzato al bene comune, ma soprattutto quando è condiviso. E nel sacrificio mettiamoci pure il blocco degli stipendi degli insegnanti, che dura già da tre anni e che Fornero pare voglia procrastinare ancora per molto. È una vergogna, ma crepi l’avarizia, se dobbiamo salvare l’Italia! Quando apprendo, tuttavia, che questi 250 milioni saranno travasati nelle scuole private, mi monta rabbia e sdegno, e chi più ne ha più ne metta.
Cos’è cambiato, allora? Mi chiedo. Mi sembra che continuiamo a muoverci nei territori dell’ingiustizia e dell’incostituzionalità. La nostra Costituzione, infatti, fa esplicito riferimento alla libertà di istituire scuole private, a condizione che ciò non comporti oneri per lo stato. Principi chiari e inequivocabili che non lasciano intravedere l’obbligo, da parte dei cittadini, di pagare con le loro tasse, il sistema educativo di chi sceglie per i figli una scuola fatta su misura e secondo i propri principi. Ma così non è già da tempo. Grazie ai governi che si sono succeduti negli ultimi anni, finanziamo con i nostri soldi le scuole private. E l’apripista di questo scempio – mi spiace ammetterlo – è stato D’Alema, con il suo governo di centro sinistra. Ma questa è una storia vecchia.
7 luglio 2012. La notte porta consiglio. Monti ha ritrattato (solo in parte, però) l’ennesimo scempio alla scuola di Stato perché ha capito che non si possono promettere ponti d’oro ai giovani, quando questi ponti si innalzano sull’abisso. Sia chiaro: ha solo rinunciato a quell’ingiurioso travaso di denaro pubblico negli istituti confessionali. Restano, comunque molti punti oscuri, primo tra tutti una sbandierata rivoluzione on line della scuola (da realizzarsi da qui al 2014) che escluda, però, categoricamente qualsiasi onere per la finanza pubblica e che si avvalga esclusivamente delle risorse presenti nell’istituzione scolastica. Sono previsti, inoltre, l’innalzamento dei costi delle rette universitarie e la riduzione drastica dei compensi spettanti ai docenti per attività cosiddette aggiuntive (ma funzionali) all’insegnamento. E poi resta il problema annoso dei precari che, con un colpo di coda, rischiano di essere spazzati via. Un ridimensionamento della spesa pubblica, per quanto necessario, non può essere fatto con la mannaia, colpendo indiscriminatamente e alla cieca.
Ho sperato che privilegi, ostentazioni di ricchezze e di potere, sfacciate irrisioni, da parte di pochi, alla crisi che morde sarebbero stati spazzati via da questo governo. Non nego che la spending review colpisca, per la prima volta i luoghi del potere, ma non v’è dubbio che le spese, per l’istruzione, in un paese civile, dovrebbero aumentare anziché essere contenute. Gli sperperi in altri settori – per esempio quello militare – continuano senza sosta, mentre il ministro Profumo lancia la campagna delle eccellenze. Ma con quali fondi? Non è possibile crescere senza investire. Merito e risparmio brutale costituiscono un ossimoro. È impensabile misurare il valore degli studenti, se la scuola non è in grado di mettere tutti nelle stesse condizioni di dare il massimo. Saranno poi sempre i soliti noti ad eccellere. Quelli che non dovranno usare la scuola come ascensore sociale. L’istruzione pubblica è un fondamento importante di uno Stato e deve essere un veicolo di emancipazione personale e collettiva . Se la scuola è malata e la sua febbre sale, c’è il rischio che la nostra democrazia si trasformi in un apparato cieco, esangue e privo di anima.

Laureata in filosofia, ha insegnato Lettere in una scuola secondaria statale in provincia di Milano. Scrive su alcune testate locali dove si occupa di scuola, libri, politica e costume. Ha pubblicato tre romanzi: “Criada” (Astragalo, 2013), “A due voci” (Leonida, 2017), “Fatale privilegio” (ilTestoEditor, 2023)