L’intervista che pubblichiamo a Silvia Giralucci, ispiratrice attraverso un suo libro, del film documentario “Sfiorando il muro”, diretto con Luca Ricciardi, prodotto da DocLab di Marco Visalberghi), riaffronta il tema degli anni di piombo e della violenza degli anni ’70. Lo fa da familiare, figlia di una vittima del terrorismo politico di quel periodo.
Una conclusione mi sembra importante nelle sue risposte: bisogna in qualche modo spezzare la catena della violenza. Questa esigenza è attuale ancora, in Italia soprattutto, perché quella catena c’è ancora, ben salda, molto dissimulata. Così come c’era anche da molto prima degli anni ’70; che sono solo un segmento assai appariscente e didascalico, ma anche più trasparente, di una vicenda antica e presente. Prima e dopo gli anni’70.
Quegli anni hanno esasperato una tensione che nel nostro paese si coltiva da sempre, e affonda le radici nella storia profonda. Non so se di questo Silvia Giralucci si rende conto, ma credo sia bene contestualizzare quegli anni all’interno di un percorso storico lungo. L’Italia ha vissuto e vive in guerra civile permanente e la politica ne assume via via forme diverse, a volte moderando a volte radicalizzando o spostando la tensione violenta in forme apparentemente non politiche.
Dividersi, contrapporsi, coltivare vendetta è la cifra permanente della nostra disunità nazionale. Certo guerra fredda e ideologie del ‘900 hanno fornito un armamentario in più. Le ideologie non hanno risparmiato anche altre situazioni europee e mondiali, ma in Italia si sono innestate su una radice culturale precedente che ha nello scarso o nullo senso dello stato la sua matrice più profonda. E anche la presenza della Chiesa Cattolica ci ha messo del suo in questa carenza, producendo un’arretratezza culturale, un non senso dello stato, di cui odio e divisioni indirettamente si alimentano e si giustificano; perché dove c’è civiltà vera il collante è lo stato.
E’ forse eccessivo, magari scontato e sin troppo facile citare Dante, Macchiavelli, infine Leopardi, ma è vero che di questa tragica disunità nazionale avevano i grandi sporto accorata denuncia.
Importante anche il riferimento che La Giralucci fa alla giustificazione della violenza: torti subiti che giustificano riparazioni e regolamenti per pareggiare, ma sempre con gli interessi. Par di vedere, nel Giulietta e Romeo di Zeffirelli, Tebaldo alla testa dei Capuleti, sfidare per poi uccidere Mercuzio; dando la scusa poi a Romeo Montecchi per uccidere a sua volta Tebaldo: per riparare, s’intende, a una violenza subita dalla sua fazione. Shakespeare aveva visto giusto quattro secoli fa: questo è il nostro carattere italico, non a caso ispiratore di una tragedia, che per noi è permanente. I militanti dei ‘70, sedicente destra, sedicente opposta sinistra, stavano dentro a questa teatralità tragica. Si credevano paladini di una sfida a cui davano nomi ideologici altisonanti, ma erano sempre Tebaldo, Mercuzio, Romeo con altre maschere.
E dopo gli anni ’70, è tutto finito? A me pare che la guerra civile continui. Da vent’anni la politica è ancora guerra civile. Incruenta, quasi sempre. Ma la sostanza è la stessa di sempre. E farebbe presto in qualsiasi momento a ridiventare cruenta. Qualche volta poi accade che ridiventi cruenta (G8 di Genova, Roma 2011, xenofobie, curve calcistiche con i loro simboli…) e da copione i fatti sono usati come sempre strumentalmente per essere rinfacciati, mai per quello che sono stati.
La Giralucci lamenta che i responsabili dell’omicidio del padre hanno alla fine evitato il confronto per il documentario: incrociati per strada “ abbassano lo sguardo e non salutano”. C’è da prenderne atto. Siamo ancora tutti immaturi per un salto culturale verso la convivenza solidale, verso l’essere tutti dalla stessa parte.
Spezzare la catena, dice la Giralucci. Non si tratta allora forse solo di riappacificarsi, facendo finta che non sia successo niente. Si tratta di trovare per la prima volta la coesione nazionale, essere popolo con un destino comune; dalla stessa parte, appartenenti tutti alla stessa fazione. La rotta c’è ed è stata scritta in un libercolo che nessuno legge mai, ma che queste cose le dice tutte. Trattasi della Costituzione italiana. In cui tutti sono dalla stessa parte, senza controparte.

Carlo Rubini (Venezia 1952) è stato docente di geografia a Venezia presso l’istituto superiore Algarotti fino al congedo nel 2016. Giornalista Pubblicista, iscritto all’albo regionale del Veneto e scrittore di saggi geografici, ambientali e di cultura del territorio, è Direttore Responsabile anche della rivista Trimestrale Esodo.