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Mi riferisco all’articolo “Liberista sarà Lei!!” proposto in questa stessa testata da Lucio Scarpa, articolo che condivido nello spirito arguto ed in buona parte nella sostanza. Mi permetto di esprimere qualche riserva sulla troppo facile, a mio parere, soluzione cui giunge con il cosiddetto liberismo sociale: “è il liberismo, bellezza”, verrebbe da dire, coi suoi pregi e i suoi difetti. Nel momento in cui si pongono dei paletti (a mio parere sacrosanti, si intende) allora il termine inevitabilmente sfuma, diventa altro.

Ma vorrei commentare l’altro tema che Scarpa pone, ovvero che un vero liberista deve per forza essere un uomo di sinistra. Una consequenzialità ineluttabile, more geometrico, quasi una identificazione dei due termini.

La sua costruzione logica mi sembra viziata dal pregiudizio di fondo di una presunta superiorità antropologica dell’essere di sinistra: a sinistra stanno i buoni, quelli che stanno dalla parte del merito, dei diritti e della giustizia, a destra i cattivi, i lobbisti, i privilegiati, i fannulloni.

Non sono d’accordo: è a mio parere di una forma di integralismo duale e contrapposta all’’insopportabile blaterare di Berlusconi sui comunisti. Sono le due facce di una contrapposizione priva di senso che inquina la società italiana e su cui ha prosperato a lungo il berlusconismo, con i danni che abbiamo sperimentato.

Guarderei alla distinzione tra destra e sinistra con sereno distacco. Essa riguarda l’atteggiamento mentale con cui l’individuo proietta la sua esistenza nella società, lo spirito con cui vive il suo personale contratto sociale, la sua intima concezione del concetto di “privato” e di “pubblico”. È di destra chi si sente di privilegiare le libertà individuali, chi pensa che le doti, i meriti, le potenzialità del singolo debbano essere prioritariamente tutelate. È di sinistra chi “sente” e ragiona in termini di sociale, di diritti collettivi, chi sente prioritaria la questione redistributiva, ecc. E conseguentemente, proprio perché declinata sulla collettività è di sinistra, altresì, la tendenza a regolamentare, a porre vincoli e regole. In questo senso, direi che semmai essere liberista è più di destra che di sinistra.

Certo, sono conscio che siamo a livelli di impostazioni setto-ottocentesche, Stuart Mill e Rousseau per intendersi, ma sono ancora le coordinate di un ideale asse cartesiano lungo cui la popolazione italiana (ed in generale tutti gli stakeholders delle democrazie moderne) si distribuisce senza soluzione di continuità in infinite posizioni intermedie. È certamente vero, per fortuna aggiungo, che è raro riscontrare posizioni ai due punti di fondo scala dell’asse: gli hobbessiani puri, coloro che ragionano solo in base a considerazioni di puro egoismo e vantaggio personale, non esistono più, così come chi vagheggia improbabili abolizioni della proprietà privata e il predominio della classe operaia è ridotto a percentuali pateticamente irrilevanti. Ed è vero che la stragrande maggioranza si pone in posizioni intermedie e sente come propri valori e parole d’ordine (si al merito, ed allo stesso tempo si alla solidarietà, per esempio) appartenenti alle due polarità contrapposte. Forse è questo il liberismo sociale di cui parla Lucio…