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Il mio primo impegno politico si profilò che avevo su per giù vent’anni. Erano gli anni ‘80 e facevo parte di un gruppo molto attivo di giovani. Sognavamo una società perfetta che prima o poi – ne eravamo certi – si sarebbe realizzata. Come avremmo potuto aspirare ad una nostra realizzazione personale in un mondo che non ci piaceva, o che ci piaceva solo in parte e che urlava giustizia, uguaglianza e onestà? E chi, se non noi, giovani di belle speranze, avrebbe potuto agire per operare quei cambiamenti che l’avrebbero migliorata?

Fu un periodo meraviglioso. La notte e il giorno si susseguivano pieni di sorprese e io sentivo di avere un’importante funzione da svolgere. Si agiva e si parlava, sconfinando talvolta in lunghe e interminabili disquisizioni filosofiche. L’attività era febbrile.

Il lavoro, gli impegni e poi la famiglia mi allontanarono dalla politica. Mantenni vivi, tuttavia, i miei ideali di giustizia e di uguaglianza che entrarono a far parte della mia prassi di vita e di lavoro e che ho cercato, attraverso le azioni e l’esempio, di trasmettere a mio figlio.

Vedo oggi tanti giovani impegnarsi. La cosa mi rende ottimista, un po’ nostalgica forse, ma estremamente fiduciosa. Rifiuto le leggende sul cosiddetto disimpegno e sulla superficialità giovanili. Certo, oggi, per i giovani, è molto difficile fare politica per due motivi fondamentali. Il primo: viviamo nell’epoca delle cosiddette “passioni tristi” e tanti giovani di buona volontà hanno dovuto compiere un percorso di ideologie fa-da-te nelle quali riconoscersi, visto che i rappresentanti della politica hanno smesso da tempo di incarnare pensieri, idee e speranze. Una volta elaborata la propria ideologia, hanno imparato a muoversi nella speranza che il proprio contributo possa offrire spiragli di aspettative a una generazione totalmente disorientata e umiliata. A me, che sono, ora, una “diversamente giovane” e una “diversamente militante” sembra che, a differenza della nostra passata generazione, quella attuale sia costituita da ragazzi più concreti e determinati, che, proprio per le difficilissime contingenze economiche e sociali del presente, devono trovare delle risposte soddisfacenti.
Il secondo motivo per cui è difficile per i giovani far politica oggi è presto detto. Quando si parla di politici inetti e parassiti, non possiamo escludere da questa categoria una moltitudine di giovani rampanti, giunti al potere per grazia ricevuta. E lì insediatisi per ottenere beceri tornaconti personali. Politica e meritocrazia (quest’ultima, oggi tanto declamata, ma così poco agita) continuano ad essere un ossimoro. I fatti degli ultimi tempi ci hanno insegnato, tra l’altro, quali e quanti altri canali vengono privilegiati nella selezione della classe dirigente!

Ciononostante, c’è fiducia, entusiasmo, voglia di cambiamento. Incontro nella realtà della provincia di Milano – che è quella in cui vivo – giovani che incarnano tutte queste belle qualità. L’impegno di molti ragazzi in varie forme di associazionismo, nel mondo della cultura e delle testate giornalistiche locali mi fa ben sperare. Questi ragazzi sono anche molto coraggiosi perché il terreno su cui si muovono è accidentato e gli equilibri che vanno a toccare molto fragili. Hanno freschezza e competenza. E, dal loro osservatorio, hanno molto da insegnarci. Ecco, è proprio questo il punto. Non sempre è facile – nonostante si predichi con forza – “dare largo ai giovani”. Non sempre si accetta di cedere, con serenità, il testimone, forse perché questa operazione comporta la fine di una fase. Ma ciò non significa dare avvio a un declino irreversibile. È più semplicemente un passaggio, l’inizio di una nuova stagione che può dare forza propulsiva a un rinnovamento che prima o poi inciderà positivamente sulle nostre comunità. E, più in generale, sul nostro presente.