Dana Bakdounis è una ragazza di 21 anni, siriana di nascita e vissuta in Arabia Saudita, che ha fatto un piccolo grande gesto: si è tolta il velo, si è fotografata (con l’autoscatto) tenendo davanti a sé il passaporto (in cui appare la foto del suo volto velato) ed una specie di papiro con scritto in arabo ed in inglese “Sto con la sollevazione delle donne nel mondo arabo perché per 21 anni non mi hanno permesso di sentire il vento tra i capelli e sul corpo”. La dedica era al gruppo “The uprising of women in the Arab World” sul cui sito Facebook ha postato la foto. Poi Facebook, spaventato dalle proteste ricevute dai molti integralisti, ha censurato la foto, per poi rimetterla a furor di popolo. Vicissitudini che hanno contribuito alla notorietà di Dana, ma che non rilevano particolarmente.
Davvero rilevante è invece il dramma che la poetica frase di Dana ha (ri)portato all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Una situazione a cui tutti coloro che hanno a cuore i diritti umani universali non possono non guardare con costernata preoccupazione: in gran parte (non tutto, per fortuna) del mondo musulmano le donne versano in condizioni di oggettiva vessazione, prive dei più elementari diritti e soggette all’autorità maschile (paterna o maritale che sia) in termini tali da negare loro anche diritti elementari come, appunto, la libertà di come uscire di casa.
È una realtà nota, cui purtroppo ci siamo colpevolmente assuefatti o che riguardiamo con pelosa indifferenza salvo magari rimanere basiti quando nel nostro Paese si verificano episodi raccapriccianti quali l’omicidio di una ragazzina di famiglia musulmana perché ribellatasi ai costumi imposti dalla famiglia stessa o dal clan.
Fatti di cronaca che vengono classificati impropriamente nella tematica più generale della condizione femminile, che pure merita attenta e sensibile considerazione. Sia chiaro: nessuna sottovalutazione, nessuna indulgenza, nessun understatement rispetto per esempio all’orrida, dolente conta delle donne (di tutte le nazionalità) uccise dall’ex marito o dall’ex fidanzato, più o meno psicopatico, che non si rassegna alla separazione. Così come è drammatico il problema antico della violenza familiare di cui molte donne sono vittime, talvolta per paradosso tristemente consenzienti.
Dico impropriamente perché i casi succitati sono derivati da situazioni di evidente patologia e di inadeguatezza nell’agire il proprio ruolo di maschio. I protagonisti maschi di queste vicende sono prima di tutto soggetti problematici, insicuri, non di rado alcolizzati, complessati, con gravi problemi di personalità. Insomma, condizioni drammatiche e borderline, da gestire con strumenti di legge adeguati, prevenzione, intelligenza emotiva e solidarietà. Si, anche solidarietà, questi eventi sono sovente anche la tragedia dell’indifferenza: quanti vicini di casa invece di farsi i fatti loro avrebbero potuto denunciare certe situazioni ed evitare tragedie?…
Il problema delle donne musulmane origina altresì da meccanismi mentali e condizioni del tutto diverse. In questo caso i carnefici non sono disadattati o squilibrati ma sono uomini perfettamente integrati in un contesto sociale che nega esplicitamente uno dei fondamenti della nostra civiltà: gli esseri umani nascono tutti (almeno in premessa..) titolari degli stessi diritti. È insomma una situazione che emana un tanfo greve di Medioevo, di sopruso ed ingiustizia.
Alla coraggiosa Dana, ed a tutte le donne che come lei combattono perché il vento scompligli lieve i loro capelli, vada la nostra incondizionata solidarietà.

Nato a Venezia, vi ha sempre risieduto. Sposato con una veneziana, ha due figli gemelli. Ingegnere elettrotecnico, ha lavorato all’Enel dal 1987 al 2022, è stato Responsabile della distribuzione elettrica della Zona di Venezia e poi ha svolto attività di International Business Development Manager, lavoro che lo ha portato a passare molto tempo all’estero. È stato presidente del Comitato Venezia Città Metropolitana, esponente di Venezia Una&Unica. È in pensione dal 2022