C’è un che di fastidiosamente stonato in alcune delle obiezioni che, da destra e da sinistra, sono piovute su Mario Monti all’annuncio della sua entrata a pieno titolo nella competizione elettorale. Mi riferisco alle argomentazioni che contestano in principio la sua legittimità morale a misurarsi nella prova del voto democratico. Tento di elencarle (e di controargomentarle).
La prima, che gli viene soprattutto dal PdL: assumendo l’incarico di Presidente del Consiglio aveva dichiarato che finito il mandato sarebbe tornato a fare il professore (ovvero si sarebbe tolto dai piedi) quindi Monti è uno spergiuro che non mantiene le promesse. L’obiezione è in sé inconsistente in quanto si riferisce ad un intendimento (un intendimento, si badi bene: non una promessa, non un impegno, neppure un gentlemen’s agreement) espresso in altra epoca ed è assolutamente nelle prerogative di Monti, come di chiunque altro, cambiare idea sulla base dell’esperienza maturata nell’anno trascorso. A ciò si aggiunga che, sul piano personale, va riconosciuto a Monti che sarebbe stato molto più comodo starsene alla finestra e farsi eleggere al Quirinale piuttosto che sporcarsi le mani in una competizione assai verosimilmente già vinta da altri. Ma la vera questione in gioco è un altra e l’ha rivelata Fabrizio Cicchitto in un momento di forse involontaria sincerità: se il PdL avesse saputo che Monti poi si candidava non lo avrebbe votato sin dall’inizio. Tradotto: il PdL avrebbe trascinato il Paese alle elezioni anticipate, peraltro certo di uscirne con le ossa rotte, in un momento delicatissimo, pur di non consentire l’irruzione sulla scena di un potenziale competitore. Quando si dice il prevalere dell’interesse del Paese…
La seconda obiezione, ancorché riecheggiata sia da destra che da sinistra, si è imposta all’attenzione dei cronisti per l’autorevole imprimatur di D’Alema: competere elettoralmente con le forze politiche che hanno appoggiato il Governo Monti è, niente di meno, immorale.. Faccio davvero fatica a capire come D’Alema inquadri la categoria della moralità, che a me pare non c’entri nulla. Anzi, a voler essere puntigliosi, si potrebbe ricordare che durante la travagliata navigazione del Governo Monti veniva continuamente ricordato che i voti su cui poggiava non erano i suoi, che doveva stare al suo posto, che era troppo comodo fare il super partes e governare senza misurarsi con il consenso democratico. Bene, adesso che si mette in gioco, si misura appunto con il voto popolare, lo si scopre immorale. Trovo francamente che tutto il ragionamento sia artificioso.
Infine, l’ultima perla di Scalfari nel suo editoriale di domenica 6 gennaio. In sintesi, Monti l’ha deluso per il semplice fatto che con la sua candidatura rompe le uova nel paniere a Bersani, altrimenti destinato ad una facile vittoria contro un ormai impresentabile Berlusconi. Tale tesi poggia sull’assunto che i programmi di Monti e Bersani sono di fatto coincidenti e quindi Bersani andava supportato e basta. La presenza organica nel centro sinistra di una diffusa corrente di pensiero (vedi Vendola, la CGIL e quant’altri) che vede Monti e la sua agenda come fumo negli occhi è per Scalfari, evidentemente, un dettaglio irrilevante. Non mi pare proprio.
Si possono certamente trovare molti motivi per non votare Monti e le liste che fanno riferimento a lui. Ma il dibattito elettorale trarrebbe giovamento se fossero nel merito dei programmi, della persona, dei valori di riferimento. Non certo le argomentazioni di cui sopra. Insomma, che si giochi la partita e vinca il migliore, non si contesti l’ingresso in campo di una squadra con motivazioni capziose. Personalmente, credo che l’avvento di un intruso nello stucchevole dualismo tra centro sinistra e Berlusconi cui è stato inchiodato il nostro Paese per vent’anni abbia solo ricadute positive.

Nato a Venezia, vi ha sempre risieduto. Sposato con una veneziana, ha due figli gemelli. Ingegnere elettrotecnico, ha lavorato all’Enel dal 1987 al 2022, è stato Responsabile della distribuzione elettrica della Zona di Venezia e poi ha svolto attività di International Business Development Manager, lavoro che lo ha portato a passare molto tempo all’estero. È stato presidente del Comitato Venezia Città Metropolitana, esponente di Venezia Una&Unica. È in pensione dal 2022