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Se ripensiamo alla scuola degli ultimi anni, i nostri alunni ci paiono meno motivati, meno capaci (senza offesa per i figli di nessuno…). Se guardiamo alle nuove generazioni, sono composte da ragazzi meno intraprendenti e più fragili. Certo, generalizzare non si può… ma in fin dei conti cosa è cambiato? Se la scuola serve a fornire forza-lavoro al mondo dell’economia ma se il lavoro per tutti non c’è, a cosa serve la scuola? Forse se lo stanno chiedendo anche i nostri giovani, una generazione privata del proprio futuro e che di conseguenza s’impegna poco e chiede poco a se stessa. E noi adulti, la società civile dove ha sbagliato? L’idea di politica scolastica di matrice neoliberista attuata nell’ultimo trentennio, con una forte accentuazione data dalla riforma Gelmini, ha messo al centro dei processi educativi il concetto di formazione, al più di istruzione, mettendo di conseguenza nell’ombra quello di educazione. Alla luce di questa scelta, le Regioni hanno puntato sulle Scuole di formazione professionale (CFP), mentre le università hanno proposto lauree triennali estremamente specifiche e talvolta eccessivamente originali. Me ne ricordo una che mi fece molto pensare: “Corso di radiologia medica, per immagini e radioterapia”, volta in realtà a formare, se si pensa, una figura professionale grandemente qualificata ma un po’ troppo specifica in quanto figure del genere, poi, sono difficilmente ricollocabili in caso di perdita del lavoro. In internet ho trovato perfino un corso in “Scienze del fiore e del verde”, giusto completamento di quello in “Produzioni vegetali: verde ornamentale, ricreativo e protettivo”. Mi auguro, almeno, che per questi corsi di laurea la pratica fosse superiore in numero di ore alla teoria. Le Province poi, talvolta in collaborazione con le Associazioni di categoria, hanno programmato corsi di tutti i tipi, per formare pizzaioli, panettieri, per governanti domestiche e alberghiere, per barman. Le più azzardate hanno perfino proposto corsi per wedding planner, in un Paese dove il calo dei matrimoni è pari al 4,5% in meno all’anno di coppie che pronunciano il fatidico sì, senza contare poi il periodo di crisi. Occorre riflettere sul tipo di scuola che vogliamo. Forse serve tornare alla vecchia – mai superata – concezione alla don Milani, una scuola per tutti, che non si nasconda dietro la parola ‘meritocrazia’ ma che dia in concreto a tutti le stesse opportunità e che punti al lungo e non al breve termine. In altre parole si pensi al long life learning, con la scuola al centro della vita sociale, in linea con le indicazioni costituzionali e che faccia sul merito una battaglia di diritti non ancora a tutti garantiti.