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Ormai è chiaro, lo scontro a Venezia come nel resto d’Italia e d’Europa corre tra “innovatori” e “conservatori”: le due categorie puzzano di vecchio ma sono costretto a scomodarle. Mi spiego…

Distinguere gli uni dagli altri, una volta, era più semplice di oggi. L’appartenenza a uno schieramento politico aiutava perché ognuno di questi appoggiava su chiare basi filosofiche. Le quali, a loro volta, ruotavano attorno ad alcuni principi, immediatamente identificabili come “innovatori” o “conservatori”. Oggi non è più così. In effetti, per stabilire l’appartenenza a una delle due parti non basta la dichiarazione di militanza politica o l’adesione ideale bisogna addentrarsi nello specifico delle scelte e dei comportamenti individuali. Una vera faticaccia.

Ci si potrebbe domandare se sia poi così importante stabilire se uno sia “innovatore” o “conservatore”… è ovvio, ritengo di sì. E lo è perché la sfida del presente è la solita: anche solo per “mantenere” cioè “conservare” una cultura, che ho già definito in precedenza come insieme di valori ed esperienze cioè di mentalità suscettibile di diventare scelte di vita, serve una civiltà proiettata verso l’innovazione. Se la cultura da “conservare” è la nostra e vogliamo salvarla, quindi, per noi è fondamentale stabilire se siamo sufficientemente innovativi da garantirle la sopravvivenza. Perché sull’altro piatto non c’è il pigro perpetuarsi della situazione attuale ma un’inesorabile, catastrofica, decadenza.

Il “conservatore” punta a ingessare una società: il risultato è la sclerotizzazione della stessa attraverso il mancato ricambio d’idee e persone. La Storia ci mostra una continua ri-dislocazione dei centri di gravità geopolitici in base alla maggiore o minore capacità d’intercettare i flussi di innovazione del periodo.

Venezia Serenissima è decaduta, e quindi morta, per “straniamento dal Mondo”. Venezia Ottocento è rimasta in agonia un secolo intero per lo stesso motivo. Venezia Novecento ha tentato la carta dell’industrializzazione ma ha fallito… perché ha perseguito un modello, industria di base, superato ancora prima di posare la prima pietra di Porto Marghera. Venezia Duemila continua a perseguire con il fiato corto vecchie prospettive. I “conservatori” restano dominanti sulla scena politica veneziana da almeno tre secoli e i risultati li abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Le conseguenze sono raccontate da tutti gli articoli di Luminosi Giorni e da qualunque osservatore presti attenzione. Non sarebbe ora di sostituirli con gli “innovatori”?

… distinguerli, però, è davvero difficile, come detto. Provo a indicare qualche criterio calato nella realtà veneziana.

 

Sono conservatori:

 

1-    Gli adepti della religione “laguna ugale ambiente naturale immodificabile”

2-    I sostenitori dell’intoccabilità di ogni singola pietra della Città Antica

3-    Quanti ritengono che per utilizzare la materia prima “cultura” e attivare le intelligenze basti introdurre nuovi musei oltre ai tanti già esistenti (ogni riferimento all’M9 è voluto)

4-    Tutti quelli che non riescono a posare lo sguardo su una carta per collocare la realtà “Venezia” all’interno del suo inevitabile spazio geo-sociale.

 

Qua mi fermo, perché mi pare basti per cominciare a parlarne. Approfondisco solo un aspetto, per altro da me già trattato qualche tempo fa, che aiuta a meglio comprendere il mio punto di vista. M9 è il tipico parto “conservatore”. Perché? Davanti al degrado di un segmento importante della Città Moderna, qual è la risposta? Realizzare un nuovo museo e farvi ruotare attorno un po’ di negozi, bar e ristoranti. Magari pure l’ennesimo centro commerciale. Questa è pura muffa.

Nella Città della Metropolitana della Laguna, riprendo l’espressione anche se a qualcuno non è piaciuta, sono attivi decine di musei ciascuno con depositi in cui sono stivate opere in misura superiore a quelle esposte… con i depositi si potrebbero “aprire” non M9 ma svariati M9 e 8 e 7 e via dicendo, rendendo fruibili centinaia di creazioni artistiche oggi precluse alla gran massa del pubblico. E anche degli studiosi. Un “museo virtuale”, come M9 dovrebbe essere, è il classico non-senso là dove di opere vere ce ne sono disponibili in quantità quasi illimitata. Un museo virtuale ha significato a Ercolano, il MAV rappresenta una buona “anticipazione” di cosa potrebbe essere M9, ma a Ercolano serve a “ricostruire” visivamente e a mettere a disposizione ciò che è sepolto e non esiste più. A Mestre potrebbe al massimo “affiancare” un’esposizione in pietre e colori autentici. Questa sarebbe un’operazione tesa a restituire il “nascosto” e a diventare, se affiancata da laboratori e spazi creativi disponibili, una dimostrazione di utilizzo della materia prima “cultura”.

I “conservatori” vogliono M9 come museo virtuale assediato dalle solite gallerie di negozi, gli “innovatori” un museo vero che “tiri fuori” il depositato e diventi una “fattoria delle idee” e un “centro per l’incontro e la sperimentazione del nuovo”… a proposito, ma qualcuno si è accorto che di negozi, uffici, bar e ristoranti vuoti ce ne sono più ancora che di capannoni industriali e commerciali? È questo il futuro che vogliamo?