Il piacere del contraddittorio
26 Giugno 2013(quasi identica)
2 Luglio 2013Molti di noi hanno letto l’accorato sfogo di Gianfranco Bettin http://ecovenezia.wordpress.com/2013/06/26/in-attesa-di-sentenza-una-storia-radioattiva-lettera-di-gianfranco-bettin/ su una vicenda personale legata all’imminente verdetto su una querela intentatagli da Corrado Clini che, se dovesse avere esito negativo per lui, condannerebbe Bettin al pagamento di un milione di €. La vicenda è assai complessa ma in estrema brevità: nel 2005 Luana Zanella e Bettin presentavano un’interrogazione rispettivamente alla Camera e al Consiglio Regionale Veneto (di cui erano membri) per fare luce su quanto sostenuto in un’inchiesta del settimanale L’Espresso in cui si sosteneva che nel 1990, nel bruciare i rifiuti della famigerata Jolly Rosso al Petrolchimico di Marghera, si sarebbero liberate nell’aria quantità di uranio (peraltro di tipo non specificato) in misura intollerabile.
L’allora responsabile del servizio di igiene pubblica dell’Ulss 36, dott. Corrado Clini (più famoso per essere stato Ministro dell’Ambiente nel Governo Monti), responsabile di una relazione sull’analisi dei fumi, che conferma la presenza di uranio (e qui, per la verità, dal testo di Bettin non si capisce se la relazione è stata resa pubblica o meno), si sente diffamato dall’articolo dell’Espresso e querela il settimanale. E con L’Espresso, querela anche la Zanella e Bettin, colpevoli di aver fatto l’interrogazione di cui sopra chiedendo lumi sulla vicenda. Bettin chiarisce (e noi non ne dubitiamo) che nell’interrogazione nessuna insinuazione o affermazione esplicita era rivolta nei suoi confronti e questo apparentemente rende insensata sia l’azione intentata sia il risarcimento monstre richiesto da Clini.
La vicenda, al di là della sacrosanta solidarietà umana e civile a Bettin, si presta a molte osservazioni.
La prima è che Bettin se la prende con l’attuale Giunta Regionale che non ha opposto un conflitto di attribuzione nei confronti dei giudici (come invece successo alla Zanella, protetta dall’immunità parlamentare). Rileva nella circostanza un vulnus al diritto del rappresentante popolare (in quanto consigliere regionale) di chiedere l’accertamento della verità, il che costituisce oggettivamente un precedente pericolosissimo. Mi verrebbe da dire che il fatto che Bettin fosse un rappresentante popolare non è così fondamentale, semmai è un’aggravante ma resta il fatto che il diritto alla verità dovrebbe essere una prerogativa di qualunque cittadino.
Un’altra perplessità è che non si capisce, se davvero non vi è alcuna sostanza oggettiva, perché Bettin è seriamente preoccupato dell’esito del giudizio, anziché dare per scontato che vi sarà una assoluzione piena.
Infine, e più importante, è da sottolineare la sproporzione tra l’importo del preteso risarcimento e l’asserita colpa. Beninteso, ritengo che la tutela della proprio rispettabilità sia un diritto fondamentale, da tutelare e quindi sia sacrosanto il diritto di pretendere un risarcimento ove questa venga ingiustamente violata. Ne’ un rappresentante popolare deve essere legibus solutus da questo punto di vista. Però non può non sussistere una correlazione ragionevole tra causa ed effetto, tra la supposta colpa e il risarcimento richiesto. Se il potenziale diffamato è libero di stabilire “a capocchia” l’importo del risarcimento, è chiaro che si costituisce di fatto uno squilibrio tra chi ha spalle e mezzi finanziari per rischiare una causa e chi no.
L’affaire Bettin mette insomma in luce un altro aspetto, drammatico, dello stato inverecondo in cui versa la giustizia nel nostro Paese. Non si tratta di scegliere tra garantisti e giustizialisti. Si tratta di pretendere una giustizia giusta, ragionevole (e tempestiva). Nulla, purtroppo, di più lontano dalla realtà.