By

La vicenda del Palais Lumiere, il probabile definitivo nulla di fatto della sua costruzione, lo sacricabarile delle responsabilità di questo nulla di fatto, hanno meritato approfondimenti ripetuti anche su questa testata, ultimo quello di Emanuele Dal Carlo che articola una sua interpretazione, peraltro credibile e pertinente, sulla cultura cittadina del NO che ha contribuito a creare l’humus negativo per la costruzione del palazzo.
Tuttavia questa vicenda ha segnato per la prima volta una novità non da poco. Un comitato con migliaia di adesioni, nato spontaneamente sul web e poi consolidatosi con incontri e dibattiti pubblici, ha sostenuto con forza l’iniziativa di Rodrigo Basilicati che per conto dello zio Pierre Cardin ha progettato l’opera. Ancor oggi questo comitato non demorde e spera di far ritornare il sarto francese sui suoi passi. La novità non da poco, direi quasi storica, è che per la prima volta un movimento quasi di massa sposa la causa “ a favore” di qualcosa in questa città e di qualcosa di grande, simbolicamente grande e di fatto grande, il cui pregio non è però la grandezza ma la potenzialità di essere volano di sviluppo in più settori e complessivo per tutta l’area urbana e metropolitana. Assistiamo infatti da anni, si può dire anzi da decenni, ad una mobilitazione “ contro” tutto ciò che tenta con opere e progetti di far uscire Venezia dall’inerzia di un suo ridimensionamento definitivo e alla marginalità nella gerarchia urbana italiana ed europea. Con l’ipocrisia e la sfacciataggine di far passare questi No come amore per la città e per la sua salvaguardia.
Si può fare una lista a braccio che parte dagli anni ‘80: NO expò, NO ospedale a Carpenedo, NO Stadio a San Giuliano, NO garage e centro direzionale al Tronchetto, NO garage in marittima, NO Mose ovviamente, il più famoso di tutti, NO tribunale a piazzale Roma, NO sublagunare, NO tunnel della Giudecca, NO Ponte di Calatrava, NO People Mover, NO passante di Mestre, NO Complanari Tangenziale di Mestre, NO tunnel sotto Tangenziale, NO strada dei Bivi, NO Romea a Roncoduro e NO tout court autostrada Venezia-Orte (cioè Nuova Romea), NO camionabile Venezia-Padova, NO idrovia Venezia-Padova, NO seconda pista aeroporto, NO Tav in gronda a Tessera e NO Tav verso Trieste, NO stadio a Tessera, NO passante di Campalto, NO Palasport ai Pili, il reiterato NO alle auto, tutte le auto, di turisti e residenti oltre che agli autobus a Piazzale Roma, NO riapertura del Rio Nuovo ai battelli di linea, NO terrazza al Fontego dei Tedeschi e NO centro commerciale al Fontego dei Tedeschi,  NO Ragazzo con la Rana, persino un NO all’Hotel Santa Chiara a Piazzale Roma, il recente NO Palais Lumiere ed anche sta spuntando un NO tram a San Basilio. Questo per citare i maggiori, perché altrettanti e minori ce ne sarebbero, non tutti come movimenti strutturati in alcuni casi come semplici NO d’opinione. Non è superfluo far notare che non sempre i NO l’hanno avuta vinta per grazia d’Iddio e che ciò che è stato realizzato ( per es. Passante, Calatrava e People Mover) ha alla lunga dimostrato la bontà e l’utilità dell’opera. Si dovrebbero citare anche i NO Tessera city, i NO Veneto city, i NO grandi navi, ma questi NO per onestà intellettuale non vanno messi nel mazzo perché sono invece dei NO in parte condivisi, nell’esito del giudizio più che nelle ragioni di partenza, anche da chi, come chi scrive, è o era favorevole o comunque non contrario pregiudizialmente a tutte le opere avversate di cui sopra. Semmai è imbarazzante riuscire a distinguersi e difficile riuscire a smarcarsi come NO ragionati e critici da NO pregiudiziali anche a tutte le soluzioni alternative e si veda per le grandi Navi il NO allo scavo del canale che consentirebbe l’arrivo in Marittima senza passare per il Bacino di San Marco.
Questo fronte dunque si presenta all’opinione pubblica come movimento di massa. E’ sostenuto a livello internazionale da prestigiose firme in tutti i campi della cultura, da testate giornalistiche nazionali, si veda Repubblica, che hanno sposato la causa del mantenere Venezia imbalsamata nel suo passato. E’ l’ultimo rifugio di una falsa coscienza che mantiene per sé e a casa propria i vantaggi della modernità e scarica nell’ultimo paradiso perduto l’alibi di qualcosa di alternativo ove di tanto in tanto poter sciacquare il proprio rimorso. Di solito si disinteressa della terraferma, considerandola un non-Venezia, un retrobottega da attraversare in fretta, a meno che, come nel caso del Palais, l’opera di terraferma disturbi e turbi lo skyline romantico dell’oleografia lagunare. Ma il movimento a Venezia non è di massa. E’ di pochi che riescono poi ad essere influenti contando su questo prestigioso appoggio esterno nazionale e internazionale e su una certa cultura del venezianismo minimalista diffusa anche a livello popolare. Fanno leva inoltre su una malintesa partecipazione popolare alle scelte e da una altrettanto malintesa esigenza di visione complessiva e pianificata della città, secondo costoro, cosa per altro falsa, sistematicamente disattesa; facendo finta di dimenticarsi che sono tutte scelte che hanno attraversato le giuste forche caudine delle procedure democratiche e rappresentative, scelte prese da uomini eletti sui programmi che quelle opere contenevano. Certo il fronte del NO ha avuto ed ha per questo una trasversalità inquietante che gli dà una fisionomia allargata e che si appoggia a profusione sul luogo comune e sulla banalizzazione del fenomeno veneziano.
E’ un arco che va dai Centri sociali ai salotti di Italia Nostra, quanto di più diverso può sembrare. Ma non lo è perché i primi estremizzano la lettura affaristica di ogni proposta positiva: dietro c’è l’affare e la speculazione del capitale sostenuto da fantomatici ‘poteri forti’ e quindi scatta l’antagonismo ‘a prescindere’. Soprattutto contro il ‘privato’, qualsiasi ‘privato’ per il solo fatto che è tale e di cui guarda caso al contrario il’pubblico’ dovrà servirsi sempre più se vorrà sopravvivere per alcuni servizi che non possono che essere pubblici. Gli altri invece incarnano il conservatorismo legato al mito romantico veneziano ( e non solo ) e che trasversalmente attraversa più di due secoli a partire dal 1797. Non per nulla ci fu negli anni ’60 del ‘900 un bel NO aeroporto a Tessera, un ovvio NO alla nuova cassa di Risparmio in Campo Manin, ma soprattutto un ben più grave NO Palazzo di Wright sul Canal Grande e un altrettanto grave NO Ospedale di Le Corbusier al Macello di Cannaregio e persino alla fine del Secolo scorso un NO Vaporetti sostenuto guarda caso da gondolieri quando negli anni ’90 dell’ottocento furono per la prima volta introdotti in città. Una memorabile commedia di Giacinto Gallina interpretata in modo altrettanto memorabile in teatro da Cesco Baseggio ha rappresentato questo tema, con l’evidente triste ironia dell’autore e dell’interprete verso l’anziano protagonista, il Gondoliere Serenissima, lanciato in una anacronistica quanto nobile battaglia contro un necessario progresso, che allora, per fortuna, la ebbe vinta. Altrettanto documentato dalla stampa dell’epoca nel ’26, a dimostrare l’allargamento non solo alle opere ma anche alle istituzioni, un NO all’accorpamento nella Grande Venezia dei comuni di terraferma ( che oggi si presenta artatamente come un ricorrente SI alla separazione, ma che è un abile camuffamento di un antico NO nostalgico) . Questa trasversalità cronologica e sociale non casualmente ha pescato qua e là anche in movimenti populistici e conservatori che per ragioni diverse, l’una per un atavico localismo, l’altra per una sommaria visione antitecnocratica, si prestano facilmente a queste suggestioni e sono la Lega, i movimenti nazionalisti veneti e il Movimento Cinque Stelle. E’ una trasversalità che si nutre del facile populismo contro lo sperpero del danaro pubblico, salvo usare l’argomento contro il sospetto per il privato quando di pubblico non si spende nulla. Si intreccia infine con più modesti e limitati NO localistici espressione della comoda cultura del ” non nel mio giardino” ( NO Bivi e NO passante Campalto, fin anco il NO tram a San Basilio, per esempio, sono di questo tipo).
Il quadro è completo.
Tornando all’origine si capirà allora come la nascita e l’affermazione di un movimento a favore come “Siamo Palais Lumiere” segni un punto di svolta. Non era mai successo che ci fosse l’idea di mettersi insieme come base popolare per sostenere un’opera e ‘che’ opera. Per la prima volta non si lasciano questi argomenti a quel debole partito del SI che si identifica di tanto in tanto a Venezia nelle opposizioni di destra che, lo sappiamo bene, usano la tecnocrazia solo come elemento di identificazione e come arma elettoralistica per dar contro, in maniera altrettanto pregiudiziale, a chi governa la città. Se dunque il movimento a favore della Torre Cardin sarà sconfitto, con il suo essere oltre l’obsoleta polarità sinistra-destra che ingessa qualsiasi dinamico processo politico, può però veramente costituire in futuro la base di partenza di una nuova vincente, trasversale coscienza cittadina. Che vede nelle buone opere e nelle buone infrastrutture non la manifestazione eclatante di una mitomane mania di grandezza o la più prosaica manifestazione dell’affarismo dissennato, le letture più ricorrenti e strumentali che come un disco rotto si ripetono ormai ad ogni occasione. Ma ci vede un punto di forza, di facilitazione e di accesso a quei servizi basilari che consentono la promozione dei diritti costituzionali di cittadinanza, dal lavoro alla sanità, passando per l’istruzione e la cultura. Le buone opere quindi come veicolo di democrazia e di sviluppo, nel nostro caso della città che questi due attributi ha meglio rappresentato nel passato. Perché le riproponga con forza nel futuro.