Sono le persone che dormono sulle panchine, quelle sedute al riparo dal sole sotto i portici di Piazza Ferretto o nelle calli appartate a Venezia. Quelle che hanno casa in Piazzale Donatori di Sangue con il cielo come tetto e i porta biciclette come attaccapanni. Uomini e donne che la vita ha marchiato a fuoco.
Luigi, anche con il solleone, indossa un vecchio eschimo sporco e la sua unica compagnia è un cartone di vino. Lavorava in fabbrica a Marghera, prima. Prima della cassa integrazione e poi di quello stare a casa vuoto. Perso il posto per il pane, Luigi ha scelto la strada. Così come Oscar che, dopo un grande dispiacere familiare, staziona tutto il giorno sui gradini di un negozio.
Fuma e pensa. Pensa e fuma. Ogni tanto chiede un euro per mangiare.
E poi c’è Lina che si porta una sedia appresso. Parla da sola, invita i passanti a giocare i numeri del lotto, la sua testa si è smarrita nel favo dei ricordi. Il dottor Pino, invece, nel suo completo elegante macchiato di piscio, gira con una sportina di plastica a caccia di materie di prim’ordine: scarti di mercato e cassonetti per riempire ore, vuote e lunghe, in una mente smagliata dai compleanni e dalla solitudine. È stato un avvocato, un tempo.
In città ci sono decine e decine di storie come queste che transitano con zainetti, asciugamani in spalla, vestiti lerci, borsoni di fazzoletti di carta e calzini. Qualcuno pensa sia un problema di ordine pubblico: questi cittadini sgangherati, che soggiornano nel salotto buono con le loro miserie, sono una vista sgradevole… Ma non sarà uno schieramento di divise la soluzione. C’è chi ha proposto di togliere le panchine, chiudere le fontanelle, mettere vigilantes e telecamere… Solo palliativi ad un disagio che reclama una diversa attenzione. L’aumento di “umanità sofferente” ci deve interrogare su uno stato sociale sbriciolato, sulle povertà che incalzano, su nuovi bisogni che rendono le persone più fragili.
Certo è compito delle istituzioni dare risposte ma nessuno di noi è esonerato dal guardare la realtà.
In una situazione fin troppo indulgente con i potenti, i ricchi, i raccomandati, è semplice scaricare le proprie rabbie e le tensioni sugli ultimi. Occorre scegliere di stare dentro una storia e non di allontanarla da sé solo perché puzza. Andare oltre al fastidio che tutti proviamo che c’è, fisico e assillante, trovando regole e aiuti per una convivenza possibile.
Coltivare i rapporti di prossimità: un fiore buono per una città solidale che non si scandalizza di fronte ai diseredati ma li include nel proprio quotidiano tentando insieme di trovar soluzioni.

veneziano classe ’66, laureato in ingegneria a Padova è imprenditore nel settore della logistica, sia come agente marittimo che spedizioniere. È raccomandatario marittimo, broker assicurativo e direttore tecnico di agenzia viaggi. Ricopre la carica di presidente nazionale di Federagenti, l’associazione nazionale degli agenti raccomandatari. È consigliere regionale di Fiavet Veneto, l’associazione degli agenti di viaggio.