È chiaro, per me Venezia ha un futuro. Mi considero lontano da quanti si riconoscono in slogan tipo “Venezia è morta o morirà”. Non nutro nessuna nostalgia a priori per il passato. Né prossimo e neppure remoto. E credo che neanche la città dovrebbe averne. Tuttavia…
È altrettanto evidente che la modernità ha cambiato alle radici il nostro modo di vivere. A volte in meglio, delle altre, però in peggio. Vantaggi e svantaggi andrebbero misurati con sguardo sereno e con freddezza. Puntare l’attenzione sui lati negativi del “progresso”, però, non significa essere pessimisti o rifiutare il nuovo: semplicemente cercare l’approccio più efficace per utilizzare al meglio quanto ci offre il contemporaneo.
La prima domanda che pongo, a me stesso innanzitutto, è: perché non rivalutare i vecchi mestieri?
Premessa: l’espressione copre una vasta gamma di attività, in particolare artigianali, messe da parte e quindi espulse dal nostro orizzonte dal trionfo dello stile di vita consumista. A titolo di esempio, cito quelle legate alla produzione e manutenzione delle barche tradizionali in legno, alle categorie di produttori e riparatori di oggetti in ceramica, metallo, tessuto. Ovviamente potrei continuare a lungo. Alla lista, però, stanno per aggiungersi, dopo le ricamatrici del merletto con ogni probabilità anche le fornaci vetraie, la cui esistenza pare problematica in un mondo orientato sulla banalità di forme e il basso livello di prezzo. Perché, è noto, la “merce cattiva” scaccia dagli scaffali quella buona. A suo tempo era successo in campo alimentare per i prodotti biologici, soppiantati a lungo da ogni tipo di cibo conservato e inscatolato dalle invincibili filiere industriali fino a che…
… si è cominciato a domandarsi se fosse davvero meglio ingurgitare grandi masse di alimenti con l’unica virtù di essere a buon mercato oppure se non valesse la pena ridurre la quantità a favore di una migliore qualità. La risposta oggi è scontata. Se si cerca di risparmiare è, per sfortunata congiuntura, a causa della crisi economica non certo per convinzione culturale.
Quello alimentare non è davvero l’unico ambito in cui varrebbe la pena recuperare i “vecchi mestieri”, intesi come metodi tradizionali di produzione. Restando in laguna, giusto per non allargare troppo il nostro orizzonte, forse si potrebbe riconsiderare qualche “linea d’acqua” appartenente a scafi di antica concezione e realizzazione. È indiscutibile che avere importato acriticamente forme di barche pensate per altri spazi acquei ha incrementato il moto ondoso e le sue conseguenze. In particolare quelle subacquee, di solito a lungo nascoste.
Siamo sicuri che non sia il caso di guardare un po’ indietro per andare avanti?
I “vecchi mestieri”, oltretutto, offrivano con la loro dimensione di “bottega artigiana” un rapporto diretto, quotidiano, socializzante tra produttore e cliente. Non solo. La trasmissione della conoscenza avveniva nella stessa maniera. Oggi lamentiamo il venir meno della dimensione umana del vivere insieme. È la famosa “solitudine metropolitana”. Siamo in tanti, più di ieri, stiamo accanto ma non ci conosciamo e non ci frequentiamo se non per occasioni preordinate. In un certo senso istituzionali. È quasi scomparso il concetto di “vicinato”. Sia esso rappresentato dalla “bottega di vicinato” o dal “vicino” in senso stretto, cioè chi abita nello stesso stabile o nella medesima calle/strada. Non ci si conosce più.
E come si potrebbe, d’altronde? Ognuno ha orari e necessità diverse. Se spariranno anche le edicole, inghiottite dalla lettura digitale su pc o tablet dei giornali, verrà meno un altro dei presidi fondamentali della socialità cittadina.
Bisognerebbe riflettere: non serve rifiutare il pc o il tablet ma pensare a politiche attive in grado di conservare il tesoro culturale rappresentato dall’insieme dei mestieri tradizionali e a come utilizzarlo, per migliorare il quotidiano e offrirlo intatto al futuro.
E qua entriamo nel campo delle responsabilità: distruggere il sapere legato ai vecchi mestieri potrebbe sia costare caro oggi sia venirci imputato come imperdonabile errore dalle generazioni future. Rischiamo la desertificazione culturale. In cambio di cosa? Di una montagna di prodotti pessimi per qualità che riempiono case e luoghi di lavoro di oggetti pericolosi e le discariche di rifiuti tossici.
A volte serve pazienza per arrivare prima, l’ignoranza è una pericolosa compagna: sarebbe tragico scoprire di aver fatto un sacco di strada per non essere giunti da nessuna parte.
L’obiettivo è ambizioso e se perseguito può essere in grado di ridare fiato al tessuto produttivo soprattutto nel centro storico veneziano e nelle isole, ma anche in terraferma e nell’area metropolitana per le evidenti ricadute positive su tutto il territorio. L’agire politico, specie a livello locale, per raggiungere tale obiettivo può sicuramente molto e le Istituzioni e i loro assessorati competenti dovrebbero farsene carico in modo prioritario. Ricordiamoci, innanzitutto, che il Comune in quanto tale è il primo soggetto economico per fatturato presente nel territorio. Cosa consuma e da chi compra non è affatto irrilevante. Per nessuno. E’ anche il “regolatore” del traffico e il responsabile delle condizioni sanitarie della popolazione. Il Sindaco ne è investito addirittura sotto il profilo penale. Quindi condizioni dei mezzi circolanti, inquinamento, rifiuti. Tutto questo viene prima degli interventi di natura “culturale” e di marketing. Altrettanto si potrebbe dire per le scuole di formazione e per la promozione dei prodotti locali, che pure appartengono al suo campo d’azione. E poi spazi e incentivi sulla scia di quello che timidamente è stato fatto per le librerie seppure sotto la spinta di una sollevazione generale della cittadinanza interessata alla qualità sociale della vita urbana. Ecco la “qualità” potrebbe essere la cifra della politica del futuro per riuscire a promuovere in un’azione unica e coordinata il diritto al lavoro e il diritto alla cultura.
E voi che ne dite?

Federico Moro vive e lavora a Venezia. Di formazione classica e storica, intervalla ricerca e scrittura letteraria, saggistica, teatrale. È membro dell’Associazione Italiana Cultura Classica e della Società Italiana di Storia Militare.
Ha pubblicato saggi, romanzi, racconti, poesie e testi teatrali.