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C’era una volta un uomo molto piccolo. Piccolo nella statura, nella morale e nell’onestà, quest’uomo era grande nell’ambizione e nell’abilità di farsi strada. Tanto grande che sarebbe stato capace di qualunque cosa, pur di raggiungere i propri obiettivi. Possedeva una forza enorme. Dinamico e intraprendente, era un venditore insuperabile. Avrebbe, senza alcuna difficoltà, convinto un villaggio di Inuit ad acquistare uno stock di condizionatori in pieno inverno, così come sarebbe riuscito a fare fortuna ai Caraibi come rappresentante di pellicce della Groenlandia. Simulatore e dissimulatore ineguagliabile, con linguaggio diretto e immediato, arrivava al cuore della gente raccontando evidenti e grossolane menzogne, alle quali finiva col credere anche lui. Il segreto di tanta fortuna non era solo la sua intelligenza. Né la spregiudicatezza.  Il suo successo fu garantito da un gregge di ombre che gli tributava piena fiducia. Col tempo divenne un uomo molto potente. Tanto potente da pensare di poter ignorare un importante principio su cui si fondava quella democrazia di cui fu primo attore. Quel principio recitava che la legge è uguale per tutti. “Ma come? – si chiedeva stupito – Non merito qualcosa in più? Non ho diritto a un trattamento diverso? I miei bagni di popolo, i consensi che riscuoto, i suffragi oceanici non mi danno maggiori diritti che a chiunque altro mortale?”. Quell’uomo tanto piccolo e tanto grande ne era convinto al punto che si stupiva, quasi come ci fosse un complotto contro di lui, che qualche giudice parziale e politicizzato volesse accusarlo di alcuni reati come, per esempio, frode fiscale, falso in bilancio o sfruttamento della prostituzione minorile. Cose da pazzi! Non c’era più religione. Era quanto andava ripetendo in un momento triste per la storia del suo Paese, ed era quanto ripeteva un manipolo di uomini e donne a suo servizio. Sì, perché, col tempo quell’uomo  piccolo e ambizioso era riuscito a formare una corte di fedelissimi pronti a dare per lui la propria testa e il proprio sangue. E il suo Paese intanto agonizzava, boccheggiava, sotto i colpi di una crisi economica che aveva messo in ginocchio intere famiglie. Egli, però, era al centro dei dibattiti, occupava le prime pagine dei giornali. Il primo attore non voleva uscire di scena. Nessuno di quelli che contavano – amici e nemici – era in grado di dire “il re è nudo”. E fu così che il popolo, che tanto lo aveva amato, rimase ancora per molto tempo ostaggio di quell’uomo. I governi che si succedettero, impegnati a discutere sulle sue sorti, col sano proposito di non decidere niente, non aiutarono le famiglie, le scuole, gli ospedali, la cultura, le imprese. Il Paese si fece divorare dalla crisi e da colui che ne aveva garantito l’esplosione, pur avendola negata per tanto tempo, e la gente fu inghiottita da quella creatura che essa stessa aveva creato, al pari di una madre che viene assassinata dai propri figli.