Con gli indecisi, con i riottosi, con i delusi, bisogna fare un breve e sintetico ragionamento per convincerli ad andare a votare alle primarie del Partito Democratico.
Lo dice uno come me che da questo partito ha avuto qualche bello stramusone in faccia ed evidenti inviti a togliersi di mezzo e non disturbare i manovratori. Ho fatto fatica a non criticarlo per rancore il PD: ho preferito usare la mia vicenda personale come esemplare del sistema vigente in una media federazione del PD come quella di Venezia per far vedere e indicare in che cosa è e perchè andrebbe profondamente cambiato, essendo oggi un partito totalmente privo di una sostanziale democrazia interna, meglio una confederazione di correnti prive a loro volta di democrazia interna.
E ora però ribadisco. Bisogna votare alle primarie. Tra le varie ragioni ne dirò una o due.
Non ho più le grantiche certezze di vent’anni fa a favore del bipolarismo nella politica italiana, e non solo italiana, come sistema sicuro per garantire il funzionamento di una democrazia. Si possono fare tutte le leggi elettorali del pianeta, ma niente ci ripara dai cambiamenti di campo degli eletti, visto che per legge costituzionale ( giusta ) devono rispondere senza vincolo di mandato. E comunque nessuno ci protegge dall’arma del ricatto che ogni eletto ha di cambiare campo, alterando i rapporti di forza nel suo campo a suo favore. Tuttavia se questo sistema bipolare verrà ad essere ripristinato pienamente con una nuova legge elettorale, chi si sente orientato nel campo del centro sinistra a maggior ragione dovrà fare i conti con il PD. E’ un partito che ormai da tempo si è insediato in quella vasta area in cui gli elettori collocano se stessi tra il centro e la sinistra. Si è insediato a prescindere dai suoi meriti o demeriti. Vive anche di rendita se vogliamo, perchè solo l’astensione è la vera alternativa che il PD presenta ai suoi elettori potenzialmente delusi e che comunque non voterebbero altri, o quantomeno il suo zoccolo duro non voterebbe altri. Ma l’astensione fa comunque vincere gli altri. Quindi, per dirla brutalmente, non resta che scegliere di rafforzarlo e di rigenerarlo il più possibile.
Andare a votare alle primarie ha soprattutto questo senso: far sapere con voce forte e chiara che il PD è pienamente in campo, che si scrolla di dosso le paure, che dà un calcio al suo passato di partito identificato con la casta e che cerca di guardare avanti.
Io ho il mio candidato e qui non lo nomino anche se molti sanno chi è visto che se n’è parlato in questa testata. Mi preme far capire in questo momento che è più importante votare più ancora che per chi votare. I tre candidati esprimono posizioni moderatamente diverse, hanno accenti diversi, ma anche una quantità non piccola di elementi comuni condivisi. Un partito che aspira ad essere egemone deve poter avere al suo interno le differenze che esprimono i tre; arrivo a dire che se Vendola da una parte e Monti dall’altra stessero nel PD, un partito serio, maturo, che punta ad essere maggioranza assoluta e non solo relativa, dovrebbe riuscire a tenerli insieme su un canevaccio comune. La vera differenza tra i tre candidati è, questo è vero, proprio sull’idea di partito, ed è una questione tutta politica e non relegabile a questione formale. Vediamo quale prevale e poi confidiamo che i tre abbiano la capacità di adattarsi alla linea vincente senza snaturarsi. Anche questo mi pare un obiettivo perseguibile.
Domenica le urne si aprono alle otto e chiudono alle venti.

Carlo Rubini (Venezia 1952) è stato docente di geografia a Venezia presso l’istituto superiore Algarotti fino al congedo nel 2016. Giornalista Pubblicista, iscritto all’albo regionale del Veneto e scrittore di saggi geografici, ambientali e di cultura del territorio, è Direttore Responsabile anche della rivista Trimestrale Esodo.