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E’ coro unanime e adirittura bipartisan che Matteo Renzi segretario del PD possa (possa) segnare un’epoca nuova nella politica italiana e non solo nell’area di sua più stretta appartenenza. Per molte ragioni, anche al di là dei suoi meriti – e che non mancano -, ha raccolto le istanze di chi si è nauseato della deriva negativa italiana in molti campi e vuole voltare pagina. I sondaggi dicono quel che dicono, ma a leggerli, a distanza di una settimana Renzi ha fatto recuperare al PD qualcosa come cinque punti di consenso. Fossero anche la metà in così poco tempo sarebbe un impresa lo stesso.

Do qui per scontato che il suo programma in linea puramente teorica, per come ce l’ha raccontato lui, vada incontro a queste istanze di svolta radicale. E vorrei anche ragionare, come usa dire oggi, “al netto” delle enormi difficoltà oggettive presenti nella situazione italiana ed europea, sul piano economico in primis, ma, per ciò che riguarda l’Italia, anche sociale e culturale; nel senso della cultura diffusa che ostacola nel Belpaese in partenza qualsiasi processo riformatore vero.

Intendo piuttosto soffermarmi su alcuni aspetti e su alcune considerazioni che forse non sono centrali, ma che possono servire in una riflessione completa. Che può servirsi di molte condivisibili opinioni apparse sui quotidiani e sui settimanali a cui aggiungere queste postille. Anche per fare tesoro degli errori commessi e della necessità di essere fermi e razionali in un momento topico, di trapasso, forse, verso la terza Repubblica ( forse). Per una volta faccio, con le debite proporzioni, lo Scalfari dando a chi legge un brodo un pò più lungo e tedioso del solito, ma necessario. Sopportatemi, come sopportate lui alla Domenica. Semmai leggete a tappe. Infatti vi do tre ‘step’ distinti.

 

COL SENNO DI POI ABBIAMO PERSO UN ANNO

L’anno scorso di questi tempi nelle primarie per la candidatura a premier del centro sinistra Bersani batteva Renzi  per 60 a 40 circa e andava lui a confrontarsi con gli avversari politici.

Quelle primarie si svolsero all’insegna dei lacci e lacciuoli posti a chi voleva votare e l’affluenza fu più bassa anche al ballottaggio tra i due, ballottaggio a cui potevano partecipare solo quelli che avevano votato al primo turno. Risultato: un anno fa ci fu affluenza più bassa che alle primarie di una settimana fa, per altro un anno fa su una scelta non di partito, ma di leadership politica, posta in palio che dovrebbe tirare di più e non di meno come è accaduto. In queste ultime primarie invece si è liberalizzato di più l’accesso al voto e il risultato si è visto circa l’affluenza e l’esito. Domanda: cosa sarebbe accaduto se a votare fossero andati di più anche allora senza tanti ostacoli messi ad arte? La storia non si fa con i se, ma mi azzardo a dire che le chance di vittoria alle primarie per Renzi anche allora sarebbero state di molto maggiori e la controprova è l’esito di quest’anno. Non dovuto a parer mio solo a cambiamenti di voto, per quanto consistenti, ma anche al maggior afflusso, o comunque all’uno e all’altro: dunque con Renzi candidato premier fin da allora  forse avremmo visto un altro film; sui risultati elettorali della coalizione di centro sinistra, probabilmente vincenti, e sul governo che di necessità ne è conseguito.

Quanto al cambiamento di voto attuato a favore di Renzi in questa occasione da parte di chi non l’aveva votato allora che dire, visto poi che oggi è risultato decisivo? Agli elettori  per Renzi, ma a scoppio ritardato, è lecito addossare un po’ di responsabilità; con la non-scelta per Renzi un anno fa hanno, seppur involontariamente, creato le condizioni per il governo di larghe intese. Ci avessero pensato prima avremmo probabilmente guadagnato un anno che invece abbiamo buttato. Renzi ha detto nel 2012 le stesse identiche cose del 2013 su tutti i punti del suo programma. Difficile farsi una ragione del fatto che molti hanno cambiato idea in dodici mesi di fronte allo stesso prodotto. Maglio tardi che mai, ma abbiamo perso un’occasione di rendere lineare e più celere quello che adesso ancora  e sempre resta molto complesso e non facile. Possiamo tutti insieme cercare da oggi di fare le mosse giuste senza false partenze e sin dal primo momento?

 

ROTTAMAZIONE A META’

Abbiamo già detto in diversi momenti che la rottamazione è un contenuto politico fondamentale. Riguarda la casta, ma anche i costi della politica, riguarda l’etica politica, l’esigenza di trasparenza. Non c’entra nulla con l’età anagrafica. Tanto è vero che secondo il Renzipensiero molti non giovani meritori e competenti andrebbero per la prima volta promossi e valorizzati per la loro competenza ed eticità, così come secondo lo stesso pensiero da rottamare ci sono anche molti giovani vecchi, cioè i giovani che da tempo si sono acconciati a fare politica vecchia, fatta di accordi, di voti e appoggi scambiati, di accordi sotto banco, di merito e competenze sacrificati alla fedeltà al capobastone di turno. E che pur essendo giovani sono già in politica da un pezzo.

Questa specie, vecchia-vecchia o giovane -vecchia che sia e da rottamare, si annida particolarmente in periferia e nelle federazioni del partito sul territorio. La vecchia guardia ha voluto blindare la fase congressuale provinciale riservandola solo agli iscritti e svincolandola dal voto per il nazionale. E il risultato si è visto. Sul territorio coloro che hanno fatto riferimento a Renzi fin dalla sua prima discesa in campo sono in minoranza in molte situazioni. La sensazione che si ha è che nei territori il partito sia ancora saldamente in mano alla vecchia guardia, anche a quella saltata sul carro di Renzi all’ultimo momento per opportunismo allo stato puro. Ma è questa vecchia guardia che poi decide le scelte locali così come può condizionare anche quelle nazionali. Per esempio nella candidature nazionali anche se ci sarà una nuova legge elettorale; perchè tornasse, mettiamo, anche il Mattarellum, le candidature di collegio son pur sempre in mano all’apparato.

Si va in definitiva profilando quella situazione che più volte si è verificata nel Pd e nei suoi storici precursori.E cioè: il segretario nazionale è tenuto “per le palle” dall’apparato che non molla. E’ accaduto per Veltroni ad esempio ( tutti veltroniani allora no?…), ma era accaduto anche in circostanze più remote nella preistoria del PD. Come non ricordare ad esempio in un’altra era geologicopolitica il povero Achille Occhetto che dovette barattare il placet alla svolta e allo scioglimento del PCI con il mantenimento e il rafforzamento di un apparato interno militarizzato e in mano a un regista solo: a un burattinaio coi baffetti con in mano i fili di tutte o quasi le federazioni dello stivale; uomo che solo oggi è stato messo in mora (e bisogna vedere se è stato messo) a distanza di venticinque anni. Certo oggi Renzi non ha un alter ego, un regista di quelle proporzioni con cui contrattare al centro, ma deve fare i conti con satrapi e capetti disseminati un po’ dappertutto. Apparentemente può farcela di più, anche perché non ha le remore che venivano a tutti gli altri dell’essere comunque  espressione della ‘ditta’, Veltroni compreso e più adattabili nel farsi “tenere per le palle”. In ogni caso la partita interna alle periferie del Partito è fondamentale. E Renzi per avere piena agibilità deve poter vincere anche lì. Non solo a Roma, ma anche a Venezia e, dico a caso, a Cosenza.

 

COMUNALI 2015

A Venezia la prova del nove sarà il processo che porterà alla scelta della candidatura a sindaco. Qui c’è poco da dire se non che la gestione del Comune in corso, giunta Orsoni per capirci, sconta eccome il fatto di essere nata in un’altra epoca, quella appunto delle scelte fatte dall’apparato. Il quale poteva anche scegliere come Sindaco la persona di prestigio, l’intellettuale, il brillante professionista, l’uomo libero e indipendente, l’uomo che dialoga con l’area moderata, Cacciari e Costa prima, Orsoni adesso. Ma nel momento in cui lo candidava lo faceva suo, cercando di gestirselo come meglio credeva. Lo controllava o meglio cercava di controllarlo con il vicesindaco soprattutto, questo regolarmente un caporale d’apparato (a Venezia, Pellicani, De Piccoli, Vianello, Mognato, Simionato e non li ho detti tutti ) e scegliendo come assessori nomi e persone calate attraverso le compensazioni e i calcoli per tenere in equilibrio la struttura correntizia del partito e dei suoi satelliti. Cercava e cerca di controllare, non sempre ci riusciva, a volte quasi mai, perché i sindaci sono orgogliosetti, vanno per i fatti loro spesso e volentieri. E intanto però in questo tira e molla c’era (c’è) lo stallo, ci sono le scelte in bilico per la città, ci sono le non scelte e i rinvii, c’è a volte tutto e il suo contrario.

Le amministrazioni veneziane spesso, con rare e meritorie eccezioni, hanno dato questo spettacolo e la città è in queste mani. Nonostante tutto tira avanti attraverso il suo tessuto sociale che è di gran lunga migliore della classe politica. Infatti Venezia, intesa come area comunale ben s’intende, non è certo in quella condizione che viene trasmessa – anche attraverso una stampa più sensazionalista che informatrice -tra il morente, in città d’acqua, e il degradato, in terraferma; e ciò lo si deve a una società civile per l’appunto molto civile, maggioranza silenziosa vessata semmai da una sostanziosa minoranza non troppo civile, che pure c’è,e a cui fa gioco questo stallo permanente. Una maggioranza civile che adesso con il vento nuovo che soffia vorrebbe ottenere quella rappresentanza politica e di governo che le è sempre stata sottratta. Ora si chiede a gran voce, attraverso Renzi e le persone che lo hanno sostenuto, che, come si chiede a livello nazionale, a guidare la città ci sia gente capace, meritoria e competente, moralmente inattaccabile sul piano della prassi politica che oggi continua invece ad essere opaca e improntata ancora troppo alla convenienza e al tornaconto personale più che all’interesse generale. Ma quanto e cosa può fare un Renzi da Roma in questa partita, se qui da noi chi lo ha sostenuto fin dalla prima ora può fare poco e non ha potere? La domanda resta aperta. Le risposte urgenti.