Inauguriamo una serie di conversazioni con autori, scrittori, ma anche artisti, persone che si segnalano per qualcosa di originale in campo sociale e culturale; per valorizzarli e dare loro quella visibilità riservata pur sempre solo a chi ha la fortuna o la bravura o l’opportunismo di entrare nel grande circo massmediatico, perpetuando l’antico privilegio della casta. Una questione di giustizia e un cercare di riequilibrare le sorti.
CRIADA di Annalisa Martino*, Edizioni Astragalo, è una storia che si ispira alla vita di una donna. Una donna curiosa e avida di conoscenze, nonostante lo stato di indigenza in cui versa la famiglia di origine. Una giovane costretta, sin da piccola, ad andare a servizio in case di ricche famiglie, per le quali l’inferiorità dei propri subalterni è un dato di fatto naturale. Elvira, la protagonista, si fa amare e, malgrado le avversità, riesce a ricavarsi degli spazi d’amore e di riconoscimento sociale. Sullo sfondo, una Calabria che, sia pure con lentezza, evolve nei quasi ottant’anni di vita che attraversano il romanzo e risente, sebbene da lontano, dei cambiamenti della società italiana.
Il testo prende le mosse in un contesto calabrese arcaico, un mondo duro e sensuale. C’era tra le altre cose una precisa volontà da parte tua di dare risalto a questo mondo quasi feroce e dolce nello stesso tempo, un mondo che, se vedo la tua data di nascita, ti ha solo sfiorato e hai conosciuto forse solo oralmente?
Elvira (la protagonista) nasce nel 1922 e il libro prende avvio da questo evento. Nasce in una Calabria dura e ostile, segnata dalla miseria, dalla fame e dall’analfabetismo. Una Calabria quasi ottocentesca, profondamente stratificata, dove l’unica possibilità di riscatto, almeno per alcuni ceti sociali, è offerta dall’emigrazione oltreoceano. La miseria, per fortuna, non inquina le anime semplici e buone, come Elvira e suo padre che, tuttavia, devono fare i conti con quel mondo.
Quanto a me, questo mondo l’ho conosciuto solo attraverso le testimonianze degli anziani.
Hai voluto, mi pare, fare della memoria personale un fatto universale, qualcosa che ognuno di noi coltiva bene o male. Quanto, secondo te, una terra come la tua delle origini aiuta nell’operazione del recupero delle radici e della propria radice? Con qualsiasi luogo si potrebbe fare la stessa operazione?
La tua percezione è fondata. Il mio intento era quello di sottrarre all’oblio il ricordo di una persona. Con il mio romanzo ho voluto restituire memoria a una donna che, con la sua semplicità, ha saputo dare un grande insegnamento di vita. Che la mia terra faciliti questa operazione, beh, questo non mi azzarderei a dirlo. La storia di Elvira (che io ho voluto storicizzare per tutto l’ottantennio che attraversa) ha come cornice la Calabria. Se i fatti fossero accaduti nel Polesine o in Abruzzo, almeno nel suo nucleo originario, non credo che sarebbero stati molto dissimili.
E veniamo a Elvira. Sospetto che la sua positività a tutto tondo sia stata accentuata per farne un personaggio paradigmatico, un eroe che lotta e che afferma ad ogni passo la dignità della sua esistenza. Sbaglio?
In parte sì. Io non avevo intenzione di creare un personaggio paradigmatico perché Elvira era davvero una donna straordinaria. Ho inserito alcuni elementi di finzione letteraria per rendere più avvincenti fatti e personaggi, ma la protagonista era speciale e ha ispirato con forza il mio scrivere.
Elvira attraversa il romanzo da cima a fondo come l’Ulisse omerico. Io ci ho visto la volontà di dare risalto, quasi un omaggio a tutte le persone invisibili che fanno la Storia ( ho pensato alla protagonista de ‘La Storia’ della Morante ), persone che attraverserebbero l’esistenza senza lasciare traccia se non ci fosse qualcuno come te che le riscatta. E’ cosi?
Sì, è così. Quanti di noi compiono gesti che abbiano una risonanza tale da meritare un posto nelle pagine del libro della Storia? Pochi, pochissimi. Nel bene e nel male. Quanti eroi inconsapevoli compiono tutti i giorni gesti di cui non resta traccia, ma che sono dei miracoli per chi li ha amati e conosciuti? Tanti, ma se ne ignora la grandezza. Il libro è già alla seconda edizione, ma Elvira ha già fatto breccia in molti. E molti lettori mi hanno rivelato il rammarico di non averla conosciuta. È anche questo un modo di entrare nella Storia, forse. Se è così, ne sono orgogliosa.
Non è da tutti il portare così in alto una donna che sa rinunciare ad una femminilità di ruolo e di natura per dare senso alla femminilità dell’attenzione, della cura, degli affetti, antitetica alla verbosità maschile, ma anche a certa stereotipata civetteria femminile. Ti sei resa conto di aver dato corpo e vita ad una donna così?
Non è esatto dire che ho dato corpo e vita a una donna per il semplice fatto che il personaggio non è frutto della mia fantasia. Elvira era proprio così, nonostante la contaminatio narrativa. Ho specificato nel romanzo che non era né eroina né santa, ma nella sua scala di valori la dedizione e l’attenzione agli altri venivano anteposti all’eros e al bisogno di riconoscimento della propria femminilità. Talvolta ero infastidita dalla sua assenza totale di egoismo, dalla sua acquiescenza nei confronti dei potenti. Sapevo anche che non c’era piaggeria in lei. Piuttosto fatalistica accettazione di un ruolo. Una gioiosa accettazione.
Una considerazione generale sull’affetto, quello profondo, come sentimento umano, protagonista invisibile del tuo racconto. Quanto conta, quanto muove la vita e quanto può essere maledizione, sofferenza, nel momento del distacco che temiamo sempre e che alla fine arriva?
L’affetto è quella componente pervasiva della vita che nutre e distrugge nello stesso tempo. Elvira ci diede tutto il suo amore e noi la ricambiavamo di un amore forte e incondizionato, pari a quello che si nutre per un genitore. Di contro, però, il nostro era un sentimento disperato perché non ratificato da un vincolo di sangue. Temevamo che l’assenza di un legame biologico potesse portarcela via da un momento all’altro. Solo più tardi avremmo capito che l’amore non è solo un moto delle viscere. In fondo, chi è madre, chi è padre? Chi è in grado di offrirti un amore gratuito che non attende ritorno.
Elvira non siamo forse noi carsici della vita, oscurati dai mattatori sempre nel cono di luce, alcuni per merito, molti per astuzia e privilegio? Forse ai nostri figli dovremo suggerire di non aspettare troppi anni per mettersi in gioco come te e che l’ambizione se è sorretta da personalità non è un fatto negativo. Sei d’accordo?
La metafora del fiume carsico è molto intensa e ben si attaglia alle persone davvero grandi. Quanto all’ambizione, sono d’accordo con te, è una componente positiva, ma da sola non basta. Non bisogna mai smettere di sognare. È necessario, piuttosto, saper cogliere il momento giusto. Il momento, cioè, in cui un sogno si fa progetto e può concretizzarsi in un messaggio che sia in grado di lasciare un segno. Speriamo sia così anche per “Criada”.
* Annalisa Martino è collaboratrice di Luminosi Giorni