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Come è dipinto dall’opinione pubblica comune il quadro o i diversi quadri in cui si articola la città di Venezia e il suo territorio comunale di laguna e Terraferma ?

Ne esce sempre inesorabilmente da anni una caricatura di città, accentuata nel profilo caricaturale negli ultimi anni.

La stampa e il sistema mass mediatico, soprattutto cittadino, ma anche nazionale e internazionale e ancor di più il tam tam orale e nel web dei cittadini stessi più o meno coinvolti, a volte molto coinvolti, contribuisce a consacrare solo e soltanto un’ immagine verosimile della città; ma in quanto caricatura è un’immagine deformata quel tanto che basta da essere assolutamente inutilizzabile per un’analisi che preceda proposte serie di soluzioni che pure urgono; perché poi nonostante la falsità sostanziale di questa immagine deformata, i problemi esistono comunque.

La caricatura è facilmente delineabile ed è questa: il centro storico veneziano langue morente nell’agonia privato di abitanti, soffocato dal turismo e da uno sfruttamento del nome della città e del suo fascino a favore di interessi esterni e forti e a fini non suoi; Mestre è insicura in mano agli sbandati di ogni sorta e squallidamente degradata dai cantieri fermi e per il commercio che chiude i battenti; Il Lido un po’ l’uno e un po’ l’altro, oltraggiata dalla voragine del palazzo del cinema, da aree enormi dismesse e da opere faraoniche inutili, soffocato dall’incuria che ha appannato per sempre un passato glorioso.

E’ inevitabile che la percezione dei problemi che la vita concreta pone in una comunità urbana spesso contribuisca a creare un’immagine caricaturale della città stereotipata in negativo, un’immagine che tuttavia finisce per essere il maggior impedimento alla risoluzione del problema. Perché non consente la comprensione reale dei fenomeni per quello che sono nella loro complessità e soprattutto per quel che dipendono da contesti più ampi non riconducibili solo al fatto locale e cittadino.

Si dirà che questa è una predica astratta, viziata di intellettualismo, perché quel che conta è quel che si sente e quel che si vede qui e ora. Eppure quel che si vede e si sente è parziale se non lo si riconduce a fenomeno più ampio. E se non si fa questa riconduzione si continua a ululare alla luna il proprio malessere. Invece qui si , nell’analisi, ci vorrebbe una visione ‘olistica’. Cerchiamo di vedere dove stanno le deformazioni e le percezioni deformate e deformanti.

In centro storico il turismo bulimico di certo acceca, copre tutto e annulla la città reale; che però, ed ecco quel che non si vede o non si vuol vedere, continua eccome ad esistere anche con una sua vitalità e normalità. Ci se ne accorge quando da novembre a marzo il turismo diminuisce e si riduce molto; la città normale cammina per le strade perché le strade non sono affatto deserte, la città porta i bambini a scuola, va al cinema ed entra nelle botteghe o nei supermercati, soprattutto lavora e va al lavoro e non solo nel turismo. Certo molti di questi lavoratori sono i cosiddetti ‘equivalenti’, vale a dire quelli che popolano il centro storico dall’esterno dal comune stesso o dalla sua cintura; ma anche questo è normale e anzi assolutamente necessario alla vita di tutti i centri storici; che ovunque sono luogo di convergenza dall’esterno. In centro storico a Venezia sono decine di migliaia ogni giorno dal comune di terraferma o dalla cintura urbana. Non considerarli demograficamente tra gli abitanti è ridicolo perché si continua a perpetuare l’equivoco ( a parer mio voluto) tra abitanti di un luogo e residenti anagrafici. Questi sono si in calo da decenni, ma come lo sono in tutti i centri storici o città storiche dell’orbe terra acqueo e far finta di non vedere e sapere ciò è il classico atteggiamento di chi fa lo struzzo per non vedere un po’ più in là e accettare la realtà di una Venezia non solo insulare. Si dirà che Venezia è un caso anomalo, unico, perché il centro storico è isolato e chi ne esce di fatto non è più in città. Ma questa specialità indubbia non contraddice che il fatto che ci si trovi davanti a un fenomeno che è ricorrente ovunque e d’altra parte i residenti escono per modo di dire visto che in buona parte ci rientrano come abitanti giornalieri. Sulle chiusure dei negozi di vicinato parla già in questa pagina Lorenzo Colovini, e arriva alla stessa conclusione. Non contestualizzare il fenomeno delle chiusure dei negozi di vicinato che è generale impedisce di capire quel che accade per trovare soluzioni concrete; perché poi i fenomeni per quanto generali sono comunque negativi e restano tali

Venendo a Mestre il discorso è più o meno lo stesso. Mettere nello stesso mazzo cantieri aperti, funzionanti e quindi utili e cantieri chiusi e addirittura non ancora aperti come causa di degrado, ostacolo al commercio e facili dimore di sbandati  non fa altro che contribuire a fare confusione ancora una volta. E’ una forzatura strumentale che impedisce di fare i nomi precisi  dei luoghi che degradano realmente: quelli chiusi e di cui non si avvia niente e che sono ‘buchi neri’ e ce ne sono ( fino a poco fa il gran buco dell’ex Ospedale). Per tutti gli altri si dovrebbe avere una visione un po’ meno ristretta: trattasi di indubbio disagio finalizzato ad avere qualcosa di molto buono e valido a cantiere concluso. Se non sbaglio su Mestre si sta giocando una scommessa di riqualificazione urbana, già avviata negli anni ’90, ma mai completata e che se tutto va come deve andare consegnerà alla città intera ( e non solo alla terraferma) una qualità urbana di rango incomparabilmente diversa da quella realmente degradata sorta nei primi decenni del dopoguerra. Il commercio che chiude in centro è legato forse alla provvisorietà della fase attuale con cantieri a macchia di leopardo; ma fingere di non vedere che anche questo è un fenomeno globale e che la grande distribuzione e la crisi economica che ormai dura da anni sono fatti non solo cittadini ma generali impedisce anche in questo caso di capire. A me pare tra l’altro che la soluzione di rivitalizzare il commercio riaprendo il centro alle auto sia appunto la figlia miope di una madre altrettanto miope: la visione ristretta che ingigantisce il problema e lo ritiene unico al mondo. Lo stesso dicasi per l’insicurezza e la mala frequentazione di molti quartieri in terraferma. A parte che chi ha buon senso capisce che anche in questo caso trattasi di un fenomeno sovraurbano che compete fino a un certo punto alle istituzioni locali, quanto meno nella repressione e nel controllo; che è invece appannaggio delle forze dell’ordine e tutti sanno in quali condizioni disagiate e prive di mezzi lavorano. Certo la prevenzione è anche la citata riqualificazione urbana perché le due cose si tengono. Ma non ha senso circoscrivere il fenomeno a Mestre o dipingerlo, perché questo i giornali fanno, con le proporzioni e il degrado di una Scampia a Napoli o di ua qualche metropoli extraeuropea africana o latino americana dove avviene quasi normalmente che le bande armate irrompano in un autobus per derubare i passeggeri con il mitra puntato. Quel che accade a Mestre avviene normalmente, purtroppo normalmente, nella Padova dell’Arcella e della Stanga, nella Torino di Porta Palazzo o attorno alle Stazioni centrali di Roma e Napoli. E qualsiasi persona anche in questo caso dotata di buon senso capisce che la soluzione va prima di tutto affidata a politiche di grande respiro, nazionali ed Europee, e poi l’emergenza va affidata al welfare cittadino che certo a Venezia non è in retroguardia.

E veniamo infine al Lido. La mala gestione di alcune operazioni ( Area Ospedale al Mare, Palazzo del Cinema) ha sicuramente provocato un senso comune lidense portato a ingigantire, estendere e generalizzare, mettendo tutto nel mazzo, obiettivi giusti e altri discutibili. Non dimenticandosi che molti comitati lidensi che denunciano la situazione sono fatti delle stesse persone che vent’anni fa avrebbero voluto il mantenimento integrale e completo di un ospedale come l’Ospedale al Mare ( per 18.000 residenti) e sono in parte le stesse persone che non avrebbero voluto il nuovo palazzo del cinema ( ora buco permanente) per ragioni serie insieme ad altre come la salvezza di quattro pini marittimi. Questo per dire che quando impera la demagogia, l’incapacità a selezionare priorità, anche la battaglia giusta diventa uno starnazzare indifferenziato. Che finisce per dipingere il Lido come posto invivibile o crepuscolare per fare solo propaganda. E la stampa rincara la dose, continuando a chiamare il Lido “ ex isola d’oro”.  Ogni volta che ho portato in questi  anni ( e non nel favoloso 1930) forestieri in giro per il Lido li ho visti strofinarsi gli occhi e paragonarlo chi a Ginevra, chi a Montmartre, chi ai Parioli e non esagero, perché l’immagine( e l’immagine conta) è ancora quella. E la qualità per chi ci risiede o per chi ci abita è la stessa intatta da un secolo.

Morale. I problemi ci sono e sono tanti nelle tre citate parti della nostra beneamata città. So che infastidisce molto chi aspetta concretezza sentirsi rispondere che i ‘problemi sono complessi’. Ma insomma bisogna partire da contesti ampi per poi calarli nella realtà. Insomma una cosa è dire che piove solo qui in un mondo che è invece tutto inondato dal sole e un conto è dire che c’è pioggia dappertutto e quindi anche qui. A Venezia nel suo complesso vi sono ancora enormi potenzialità, nonostante una politica spesso assente e che andrà ricambiata nel profondo. Ma a partire dal dato reale e non dalla sua caricatura.