Uno dei luoghi comuni più diffusi definisce la cultura come la “materia prima” di base dell’Italia. Il nostro “oro nero”, naturalmente non sfruttato. L’ho sentito ripetere così tante volte, partecipando a innumerevoli convegni sull’argomento, che mi sono quasi convinto sia una bufala. La cultura è un inganno, in questo paese, ma forse in quasi nessuno al mondo, con la cultura non si mangia. Detto da uno storico e scrittore pare dolorosa ammissione di resa. Eppure…
Sbollita la rabbia del momento, dopo aver ripensato alla realtà italiana confrontandola con quella di tanti altri paesi visti di persona, devo dirlo: la cultura sarebbe l’oro blu, quindi pulito, dell’Italia che con la cultura potrebbe creare un’infinità di posti di lavoro di soddisfazione e ben retribuiti. Infatti…
Il patrimonio storico-artistico c’è, è di qualità indiscutibile, è vario e molto ben distribuito sia dal punto di vista della sua tipologia che della geografia. Aggiungo che le competenze non mancano. E allora?
Esaminiamo il “caso Venezia” e vediamo concretamente come si potrebbe intervenire in alcune situazioni per far sì che la cultura generasse lavoro.
Il sistema musei. Oggi in città ci sono 34 musei suddivisi da un punto di vista gestionale in statali, provinciali, civici o comunali, privati. Il massimo cui si è arrivati nel coordinamento è stato una bigliettazione unica per ciò che concerne i civici e a forme di biglietto cumulativo per alcuni musei statali, ma non tutti, e per i cosiddetti “musei di San Marco”, cioè Palazzo Ducale, Biblioteca Marciana, Correr e Archeologico. Da poco è stata introdotta la carta VeneziaèUnica, che dovrebbe permettere al visitatore di usufruire di diversi ingressi e dei servizi di trasporto pagando una volta sola. Il suo funzionamento non è molto chiaro e comunque si parte da un dato di fatto: ogni museo ha un proprio biglietto d’ingresso e questo costa pure molto caro.
Non solo. Una volta all’interno, i cosiddetti standard museali prevedono l’esistenza almeno di una caffetteria e di un bookshop. Non tutti i musei li hanno ma diciamo che parecchi di questi sì. Affidati in regime di concessione. Il risultato è che, a parte il solito Ducale, prezzi altissimi e servizi scadenti si sommano a un’offerta talmente modesta nei bookshop da spingere a domandarsi perché mai li abbiano aperti.
Aggiungiamo che la cronica mancanza di personale, dovuta alle ristrettezze di bilancio, costringe spesso a chiusure parziali o totali. Naturalmente ogni singolo museo, però, ha un direttore e almeno un funzionario con funzioni varie, quando non più di uno, la segreteria dedicata e a livello di gruppo, statale e/o comunale, non mancano i responsabili della comunicazione, delle mostre, dei restauri, gli uffici personale, economato, i depositi, tutto moltiplicato per quanti sono i musei. Insomma, ogni parrocchia è stata concepita per essere una realtà completa a sé stante. Razionale, no?
Ci sarebbe, poi, da osservare che in città insistono numerose soprintendenze, e mi scuso se non sono preciso ma il conto cambia di continuo, ognuna con tutta la sua panoplia completa. Metterci le mani non sarebbe davvero esercizio sprecato.
In stipendi e spese generali, in conclusione, se ne va un sacco di denaro che si cerca di recuperare facendo pagare biglietti e servizi aggiuntivi a carico dei visitatori davvero salati… naturalmente lo sforzo è inutile.
Alternative?
Proviamo a guardarci intorno, imparare non è mai sbagliato. Stiamo parlando di cultura, in fondo. Scopriamo così che i nostri 34 musei non fanno che una frazione dei visitatori della sola National Gallery a Londra dove non si paga alcun biglietto. Eppure gli incassi della caffetteria/ristorante e dei bookshop garantiscono ritorni del tutto impensabili in laguna. Lo stesso vale per tutti i principali musei britannici. Esperienza interessante che ha un corrispettivo nella Notte dei Musei qui da noi quando le presenze, in virtù dell’ingresso gratuito e degli eventi messi in cartellone, hanno sempre delle impennate impressionanti. Deduzione: e se provassimo a cambiare strada, entrata gratuita e servizi aggiuntivi di qualità e a un prezzo “normale”, cartellone di eventi, vario e continuo, una gestione unificata a livello territoriale, diciamo dell’intero Comune, trasferendo ai servizi operativi i tanti impegnati in sterile burocrazia, spianando la divisione in “statali, provinciali e civici” per lo meno, e presentando agli utenti un’offerta questa sì Unica non rischieremmo forse di imitare la National Gallery e gli altri?
Ovviamente non si tratta di seguire un modello per pura esterofilia. Un sistema di musei che invece di costare fosse in pareggio, potrebbe però anche generare guadagni, significherebbe un peso minore a carico della fiscalità, generale e locale, a parità d’impieghi ma è facile immaginare un incremento di posti di lavoro prodotto dalla maggiore efficienza dei musei stessi.
Un esempio? Ho parlato di eventi: si tratta di teatro, musica, cinema, conferenze, si traduce in lavoro per tutti quanti oggi non possono trasformare in professione le loro abilità artistiche in questi campi e domani sarebbero messi in grado di farlo grazie a un sistema che “produce” eventi… e poi elettricisti, fonici, informatici, tecnici di ogni tipo… anche servizi di trasporto, guardiania, etc.
Naturalmente tutto ciò genererebbe anche nuova cultura, rigenerando di continuo il nostro “oro blu” in una spirale davvero positiva e potenzialmente senza fine… sogni? Può darsi, certo servirebbe una “buona politica”, forse è l’ora di pensarci in prima persona.

Federico Moro vive e lavora a Venezia. Di formazione classica e storica, intervalla ricerca e scrittura letteraria, saggistica, teatrale. È membro dell’Associazione Italiana Cultura Classica e della Società Italiana di Storia Militare.
Ha pubblicato saggi, romanzi, racconti, poesie e testi teatrali.