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In Italia la questione della parità di accesso alle cariche pubbliche elettive e il dibattito sulla democrazia elettiva paritaria, con la ricaduta pratica dello strumento delle “quote elettorali”, è inerente a quello delle parità di condizioni inerenti al mondo lavorativo.

La necessità di interventi che portino a un riequilibrio della rappresentanza di genere nelle istituzioni, a tutti i livelli, è deducibile dai dati sulla rappresentanza femminile nelle nostre istituzioni.

Sicuramente non basta una legge per assicurare la parità tra donne e uomini, ma il ritardo culturale è duro a morire nel nostro paese e per garantire una effettiva democrazia paritaria non resta, per il momento, che l’intervento legislativo come inizio, non come fine, di un lungo cammino per un cambiamento profondo e radicale che dovrà passare attraverso diverse generazioni.

Fino al 1967 una donna non poteva entrare in magistratura e fu necessaria una legge. Senza il diritto di famiglia del ’75 sarebbe ancora normale la subordinazione della moglie al marito sia nei rapporti personali,patrimoniali e rispetto ai figli. Se il delitto d’onore non fosse stato cancellato solo nell’ ’81, avremmo ancora pene attenuate per chi uccideva figlia o moglie in nome dell’onore. La legge per contrastare il femminicidio non risolve il problema senza la prevenzione con la cultura e l’educazione, ma almeno segna l’inizio di una versione di tendenza. Forma e contenuto possono e devono essere interdipendenti.

Per non  chi argomenta che si tratta di “forzature” e di “riserve”e  bisognerebbe considerare le competenze e le capacità, si dovrebbe tener conto che in quanto a competenze e capacità le quote “blu”sono da anni blindate da logiche di compravendita delle cariche, da conservare il più a lungo possibile, a prescindere dai meriti.

Se non basta che le donne siano al potere da regolamento,bisogna chiedersi qual è il valore aggiunto che il fattore D,con il pensare, sentire e fare al femminile,  può portare  alla democrazia.

Bisogna partire dall’attuale protagonismo femminile per andare avanti nella ricerca e nella definizione di una qualità nuova dell’esercizio della leadership femminile e per fare in modo che il momento attuale di dibattito sulle quote  non costituisca una parentesi  dettata dall’emergenza, ma l’inizio di una normalità democratica in grado di riqualificare la rappresentanza democratica , in crisi di credibilità.

La nuova identità femminile, scoperta e praticata dal femminismo storico, con un forte sviluppo della dimensione interioriore, al di fuori e oltre il solo sguardo e desiderio maschile, ha rotto gli stereotipi che relegavano la donna solo alla natura, per renderla libera di autodeterminarsi,consapevole e responsabile dei propri sentimenti, della propria sessualità e delle relazioni umane. Negli anni successivi è stata ingabbiata in una rappresentazione che ha esaltato la libertà come rottura dei vincoli, come pura esteriorità, come semplice esibizione del corpo. È sta accompagnata dal mito del successo individuale, della competizione,della spettacolarizzazione della sfera privata,dell’arricchimento oltre le regole. Questa  forma di relativismo etico ci ha travolte ed ha ostacolato la nostra nuova umanità, entrando nell’immaginario collettivo trasversalmente e quindi diventando normalità nel privato e nel pubblico.

La rivolta della dignità femminile contro l’uso degradato del corpo ha segnato un risveglio etico e civile. La dignità femminile deve ora completare il suo cammino e candidarsi a governare il Paese, rimettendo in gioco quanto scoperto, praticato ed interrotto senza riuscire a trasformalo in pratica politica condivisa.

La forza e l’originalità di tale nuova qualità che può e deve diventare senso civico diffuso consiste nella capacità di “ricomposizione”delle diverse sfere della vita: il corpo e la mente, l’intelletto e l’emozione, l’altro e il medesimo. La capacità di coniugare l’io con il noi , di dare senso politico al personale,di rivendicare l’interdipendenza tra natura e cultura, di declinare le idee in azioni concrete, di praticare la coerenza tra il dire e il fare, di ascoltare,di partecipare e far partecipare per decidere responsabilmente con il senso del limite. La capacità del prendersi cura con la presa in carico concreta delle persone, la capacità di chi investe nella relazione umana e sociale creando legami e comunità.

Questa qualità delle donne è un patrimonio  diffuso nella vita quotidiana del nostro  paese, dato per scontato e sommerso. Può mettere in campo un’arte del governare di cui le parole d’ordine sono: responsabilità, legami sociali, capacità di comprendere i problemi altrui e di condividerli, fare squadra, costruire alleanze, esercitare il potere come abilità di fare le cose e di migliorare la vita dei cittadini, non solo come autoconservazione di un privilegio.

Queste modalità di esercizio del potere non solo sono possibili ma sono efficaci e vincenti.

Queste abilità dovrebbero diventare il tratto distintivo delle donne che si candidano a governare. Dovrebbero costituire la sfida concreta per una rifondazione della politica e, dunque, costituire il cuore di un progetto condiviso di riforma della politica. Queste abilità peraltro sono quelle vincenti per promuovere innovazione e crescita in ogni settore produttivo e della ricerca scientifica. Per questo possiamo dire che le donne sono potenzialmente le più attrezzate di fronte alla crisi per costruire l’innovazione ed il futuro.

Queste sono le competenze e le capacità da premiare(merito).

Il valore aggiunto del fattore D .

Oggi invece costituiscono un limite per le donne che avrebbero le carte in regola per governare.

Siamo ancora lacerate di fronte alle scelte difficilmente conciliabili tra carriera, maternità e cura, dove se arriviamo da qualche parte, facendo tripli salti mortali, spesso siamo fuori tempo e facciamo fatica a renderci credibili, salvo cedere anche noi alle scorciatoie, alle solite  logiche maschili e renderci complici della spartizione del potere in base alle correnti, ai reclutamenti strumentali, alle lusinghe , agli individualismi praticati in nome del bene comune.

Bisogna essere consapevoli che le nostre abilità sono una forza e non un limite, e tradurre le potenzialità in progetto politico. Dunque ci vuole la politica. A partire dalla capacità delle donne di costruire tra loro una forte alleanza. Una alleanza tra donne forti e vincenti che vogliono esercitare al massimo la loro responsabilità per governare il paese, non una aggregazione di collocate protette solo da regolamento, che devono difendersi dall’arroganza maschile, o peggio imitarla. Ciò presuppone la capacità di riconoscere e far riconoscere il nostro valore aggiunto che ci unisce  e che nel contempo ci consente di valorizzare le disparità esistenti tra donne, di sostenere l’autorevolezza dell’altra,di regolare i conflitti tra noi, funzionali allo status quo del “divide et impera”.

Fino ad ora tutto ciò è accaduto raramente ,anche per questo siamo rimaste confinate alla sola rivendicazione da regolamento.

Il cammino è lungo, richiede l’interdipendenza tra cambiamenti culturali e legislativi, affinchè il valore aggiunto del fattore D divenga patrimonio universale di donne e uomini per realizzare una democrazia che dia anima e corpo alle  pari opportunità. Con l’obbiettivo comune di formare nuove classi dirigenti, selezionate per abilità misurate con criteri condivisi,  capaci di politiche con una visione olistica e lungimirante, capaci di governare e non subire i processi del mondo globalizzato dai cambiamenti veloci. Capaci di costruire reti di competenze con ottica sperimentale, ragionando per finalità, obbiettivi a breve o medio termine, con strategie flessibili da monitorare continuamente.