Il tormentone su che cos’è destra e cos’è sinistra inaugurato da Giorgio Gaber ormai un quarantennio fa, ha in anni più recenti avuto un’evoluzione che addirittura mette in discussione la possibilità che tali categorie possano esistere. Un tormentone aggiornato per quanto, rispetto a quello delle origini, appannaggio solo di una minoranza considerata trasgressiva; rispetto a un ‘politicamente corretto’ una volta tanto bipartisan. Che vuole intoccabili e intangibili le due categorie. C’è infatti chi timidamente vede destra e sinistra solo come un’ autorappresentazione che ciascuno fa della realtà. Il fatto è che questa autorappresentazione nonostante tutto resiste.E comprensibilmente. Ognuno in qualche modo ha l’esigenza di poter collocare da qualche parte i propri valori sociali e politici o anche i suoi non-valori; e ci si indispettisce non poco quando qualcuno mette in discussione la possibilità di un deposito in una stanza certa e ben protetta. In definitiva da quando esiste una qualche forma di democrazia partecipata destra e sinistra sembrano essere categorie necessarie. Un pò come lo spazio e il tempo che certamente non esistono concretamente, sono astrazioni pure; delle quali tuttavia non possiamo fare a meno per un qualsiasi ragionamento sulla realtà.
Personalmente ho provato, seguendo logica, a mettere in discussione i fondamenti, logici appunto, di questa partizione. Ho trovato sempre muro di gomma, resistenza financo a porre l’argomento, considerato inutile, di scarsa evidenza e attualità. Molto meglio il tormentone di una volta – mi si dice- e su quella scia anzi- sempre mi si dice- ingegnamoci a dare nome di destra e sinistra a tutto il reale, dal passaverdura al passamontagna. Vano è dunque addentrarsi nella nota diatriba.
Cerchiamo però di parlare di quelle che conosciamo un pò di più, le famose ‘cose di sinistra’.
La vulgata le vuole identificate con l’attenzione ai deboli e ai ceti più bassi, con i diritti del lavoro dipendente, con il pubblico che eroga il welfare, con la ridistribuzione del reddito in servizi sociali garantiti. Tutti principi peraltro presenti nella Costituzione, ma non tutti “i” principi della Costituzione. Perché altri principi costituzionali, assenti nella vulgata, essendone esclusi di sinistra evidentemente non sono, visto che essa ne identifica solo una parte. Dal che un pensiero minimamente critico rileverebbe che nella Costituzione ci dovrebbero essere anche principi di destra. Cosa subito smentita da molta cultura di sinistra che proclama la nostra Costituzione ( tutta intera si desume) essere la più bella del mondo. Ognuno, se può o se vuole e se è ben disposto, valuti se ci sono o non ci sono contraddizioni.
Altra considerazione subordinata a quella generale. Le cose di sinistra sono cose, quindi entità reali, solo se si dicono oppure solo se si fanno ? Ciò che si dice e non si fa non dovrebbe essere considerata una cosa. Con buona pace di chi in un film implorava un noto leader politico a ‘dire’ ‘cose’ di sinistra, quasi un ossimoro. La sinistra politica ha infatti stentato a fare cose di sinistra, le ha più frequentemente solo dette, da quando esiste, sia dall’opposizione che dal governo. Molti a questo punto si inalberano e si rifanno alla ricca stagione degli anni ’70 in cui alcuni importanti diritti ( individuali ) sono stati sanciti, allargando così implicitamente i diritti dell’individuo a ‘cose di sinistra’. Vano è in questo caso ricordare che le battaglie sui diritti sono state promosse in buona parte da liberali e radicali che di sinistra non si sono mai detti. Vano è anche ricordare che la libertà di scelta è un altra di quelle categorie che la sinistra usa come il pongo o la plastilina, modellandola a piacimento e attribuendosela quando ritiene serva e togliendosela quando non le piace ( in campo economico per esempio).
Vero è che le cose di sinistra classiche, quelle della vulgata per intendersi, sono spesso state solo proclamate e non sono state in definitiva ‘cose’. L’unica veramente concretizzata è, va dato atto, lo Statuto dei Lavoratori figlio di quella stessa stagione, quella dei ‘favolosi ‘70’. Su questo Statuto c’è però un dibattito in corso su cui non mi addentro non avendo competenze specifiche. Ricordo solo che una critica, naturalmente considerata di destra, dice che questo Statuto avrebbe un limite proprio nel suo obiettivo mancato: quello di garantire quel diritto Costituzionale che vorrebbe invece favorire, il diritto al lavoro per tutti. Infatti, se si valutano gli obiettivi, sorge qualche fondato dubbio che si tratti di una ‘cosa di sinistra’, nel senso della concretezza di cui si diceva ( e non solo della fabulazione astratta), in un paese in cui la disoccupazione è a doppia cifra,; anche se ovviamente sarebbe stupido attribuire questo fallimento sull’occupazione solo allo Statuto dei Lavoratori.
La conclusione che si può trarre è che il massimalismo è un limite di tutta la sinistra storica, vale a dire vivere ed esistere politicamente con proclamazioni di valori e obiettivi astratti o comunque irrealizzabili attraverso il consenso della maggioranza dei cittadini. L’equazione è presto fatta. Non realizzare nulla conserva l’esistente e la conservazione, l’altra faccia del massimalismo, sempre secondo la vulgata classica, è qualcosa di destra.
Tanto per essere chiari e per stare all’oggi. Si propone una riforma del lavoro, l’unica accettabile da una ampio spettro di consenso. La si contesta da sinistra ( ancora una volta massimalista) e si vuole un qualcosa di più che non verrà mai accettato da tutti. Se fallisse quale sarà il risultato? Rimanere nella situazione attuale di violazione del diritto al lavoro e di precariato: una condizione concreta di ‘destra’ favorita da un massimalismo, che pensa e proclama “non-cose” di sinistra contribuendo a mantenere di fatto una condizione esattamente opposta a quella proclamata.
C’è al contrario un punto di vista che fa maggiormente i conti con la realtà e ritiene che si possano realizzare ‘cose’ che si avvicinano ad essere di sinistra, anche se con mediazioni e compromessi che tengano conto dell’ampiezza degli interessi in campo e dei condizionamenti obiettivi del contesto in cui si opera. Attuando riforme condivise che aprano alla possibilità della loro realizzabilità. Il riformismo vero dovrebbe essere questo.
In Italia stiamo vivendo una stagione di riformismo per ora in buona parte solo annunciato. Me se i contenuti di queste riforme, così come ci vengono presentate, saranno realizzati, sicuramente vivremo una stagione di cose di sinistra che mai si sono viste prima sotto questo cielo. O forse saranno ‘cose’ semplicemente democratiche.

Carlo Rubini (Venezia 1952) è stato docente di geografia a Venezia presso l’istituto superiore Algarotti fino al congedo nel 2016. Giornalista Pubblicista, iscritto all’albo regionale del Veneto e scrittore di saggi geografici, ambientali e di cultura del territorio, è Direttore Responsabile anche della rivista Trimestrale Esodo.