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Una cosa è tentare il rinnovamento radicale del sistema politico economico sociale in Italia. E altra cosa è riuscire a farlo a Venezia, in città e nel suo territorio metropolitano. Paradossalmente l’azione che potrebbe riuscire a Matteo Renzi a livello nazionale – e il condizionale è d’obbligo- è molto, ma molto più difficile a Venezia. Quantomeno è difficile attraverso le modalità che si stanno manifestando in Italia: il rovesciamento degli equilibri interni al Partito Democratico e l’insediamento al governo di chi si assume la responsabilità di guidare questa azione, che pure, è piena di ostacoli. Questa modalità si avvale inoltre della favorevole condizione, assente invece a Venezia, di consensi in libertà creati dal disorientamento dei riferimenti politici. Lo schema nazionale del rinnovamento renziano insomma è improponibile a livello cittadino. Il rinnovamento deve cercare altre strade.

A Venezia la continuità con il passato nel PD non è stata scalfita, se non in minima parte, dal processo di rinnovamento e non è stata scalfita negli equilibri interni ancora tutti a favore del vecchio apparato, sostenuto dall’elettorato  in tutte le scadenze in cui c’è da esprimere un voto. Un voto per inerzia, per mera appartenenza, per vecchia ideologia. Un voto conservatore a un partito di conservazione. Degli assetti di potere. All’orizzonte ci sono le elezioni amministrative della primavera ’15 e sinceramente i segnali di cambiamento ‘motu proprio’ dentro a quel partito non si vedono.

Matteo Renzi a Venezia non c’è in tutti i sensi. Perché, ovvio, sta a Roma o a Firenze e perché la sua rappresentanza qui è debole. Né c’è “un” Renzi veneziano.

Sarebbe sbagliato addossare la responsabilità di questa assenza alla coraggiosa compagine che fin dalla ‘prima ora’ ( che significa però solo tre anni fa) ha cercato a Venezia di sostenere l’azione nazionale di Renzi  creando, tra l’altro, anche un gruppo e un’associazione organizzata. Questo gruppo più di così internamente al PD non può e non poteva fare; perché a Venezia  la situazione è oggettivamente difficile. Bloccata. Direi da sempre.

Venezia, in modi e forme diverse tra città d’acqua e città di terra, è uno di quei luoghi dove, nonostante tutto, nel PD c’è un apparato tanto forte nella tenuta degli assetti di potere quanto è debole nell’elaborazione politica e nella gestione della città. Val la pena ricordare, per chi non fosse di Venezia, che la sinistra e il PD nelle numerose sigle che lo hanno preceduto, governa con continuità la città, salvo brevi periodi, da quasi quarant’anni. Paradossalmente non ha mai espresso un sindaco del proprio partito o un proprio rappresentante ( mai in 40 anni!), ma ha sempre barattato questa concessione a dei candidati sindaci indipendenti o negli anni ‘70/’80 di un altro partito con il posizionamento trasversale e pervasivo nel sistema di potere; dal secondo grado (il vicesindaco) giù giù un po’ dappertutto nelle stanze dei bottoni; negli assessorati, nelle aziende partecipate, negli enti a gestione o a partecipazione pubblica, ma anche in quelli non pubblici, ma semplicemente collaterali.

C’è il dato oggettivo che la città è difficilissima da governare e chi governa ha margini più stretti che altrove per far valere le sue capacità. Ma la gestione politica da parte delle forze egemoni in quarant’anni non è riuscita mai ad imprimere la svolta per capovolgere una tendenza declinante della città in quasi tutti i comparti della vita sociale ed economica di fronte ad emergenze sempre più dirompenti (residenza, lavoro, ambiente, mobilità, turismo, ma anche modernizzazione e infrastrutture, per dirne solo alcune) .

La responsabilità di questa classe dirigente è perciò è enorme. E tuttavia non si vede accenno di autocritica, di autoriforma, di consapevolezza dei limiti e degli errori. Il cabotaggio amministrativo va avanti ed è sin troppo facile scaricare le magagne solo e sempre sul Sindaco di turno in carica, compreso quello vigente. C’è prima di tutto un partito e una coalizione che hanno candidato questo sindaco come i precedenti e che portano altrettanta responsabilità, almeno in ragione del numero di posti che occupano e hanno occupato nella gestione. La primaria responsabilità va cercata lì.

Se c’ è una città, un comune, una provincia dove è urgente, direi vitale, rinnovare alle radici  la classe politica questa è perciò Venezia. Farlo solo internamente al PD è cosa vana e trascinerebbe i rinnovatori nella palude interna . Il risultato sarebbe inevitabilmente o il mantenimento agonizzante dello status quo o, attraverso le elezioni amministrative, un’alternativa populistica che ci getterebbe nella peggiore delle avventure. Chi  in qualche maniera rappresenta e porta avanti lo spirito e l’azione ‘renziana’  dovrebbe perciò con senso di responsabilità rendersene rapidamente conto. Soltanto con una battaglia interna non ci se la fa e si diventa corresponsabili. E’ assolutamente necessario che i “prima ora” renziani traducano nel territorio la loro spinta al rinnovamento appoggiandosi e mettendosi in ascolto con tutti coloro che fanno opinione e azione politica direttamente dalla società civile e che puntano anch’essi ad un rinnovamento radicale consapevole e non spontaneistico. Movimenti e comitati di questa matrice non mancano e tra i molti vanno riconosciuti quelli più responsabili e lontani da atteggiamenti populistici. Non mancano personalità autorevoli, intelligenze, impegni civici in grado di dar voce alla stessa istanza di cambiamento che Renzi ci ha proposto per l’Italia. Con questi andrebbe stabilito un patto e un’alleanza strategica.

Il termine discontinuità non va usato a cuor leggero per fare propaganda, ma nel caso veneziano nei confronti della classe dirigente e del partito che l’ha da sempre scelta e propugnata la discontinuità è veramente parola d’obbligo. Che non significa buttar via tutto quanto è stato impostato. Significa cambiare nel profondo il sistema di potere che governa Venezia. Per far riacquistare alla città quella visione unitaria d’insieme che manca da un pezzo; una visione dove collocare coerentemente ciò che anche di buono, malgrado tutto, è stato impostato seppure reso sterile e inservibile in assenza di un disegno coerente.

In sintesi. Chi nel PD vuol fare la battaglia di rinnovamento non può prescindere da una critica serrata e puntuale alla gestione politica cittadina di quasi mezzo secolo e segnatamente dell’ultimo decennio. E contemporaneamente non può prescindere dal mescolarsi virtuosamente con la società civile democratica e, dove ci sono, con le sue forme organizzate. Per i rinnovatori interni al PD e per la società civile democratica i responsabili delle gestioni politiche cittadine dovrebbero perciò essere gli avversari da battere e da battere mettendosi insieme. Avversari da battere tanto quanto lo sono i minacciosi e impresentabili movimenti populistici e localistici di varia natura che approfittando della crisi nazionale e cittadina mietono consensi a man bassa senza alcuna prospettiva credibile per la città.

La strada è stretta, ce ne rendiamo conto, ma non ce ne sono altre.