La vicenda per i veneziani è nota. La cito a braccio, senza troppi particolari, perché interessa di più la riflessione a cui la vicenda si presta. Una piscina pubblica del Comune di Venezia, quella della Bissuola, ha destinato degli orari a parte chiusi al pubblico maschile, per consentire alle donne islamiche di nuotare e prendere il bagno in un ambiente sessualmente non promiscuo.
Dico subito che dopo un momento di sbigottimento da parte della sezione laica del mio cervello ho finito per concludere che la decisione a favore di questo spazio e di questo tempo dedicato può starci, soprattutto se non reca danno oggettivo agli orari e all’utenza e non interferisce con essi. La laicità , mi sono detto, se è tale non fa mai e poi mai questioni di principio, ma solo pratiche.
Come da ovvio riflesso pavloviano si son subito scatenate contro la scelta del Comune le destre estreme ( Forza Nuova e Fratelli d’Italia) e la xenofoba per eccellenza la Lega. Non vorrei sbagliarmi ma anche i partiti del centro cattolico hanno espresso dissenso per quanto misurato e con distinguo. L’obiettivo per loro, quantomeno per le destre estreme e gli xenofobi, è sempre il medesimo: via l’Islam da Italia ed Europa, perché si sa che l’Islam rappresenta le etnie ostili e minacciose che incombono contro la civiltà occidentale e la stanno colonizzando.
Ovvio che per tutto questo variegato fronte il presupposto è tutt’altro che laico. Il sottointeso è che c’è una sola religione che ha diritto ad uno spazio pubblico ed è quella Cattolica. Della religione cattolica si fa un uso ovviamente strumentale considerandola la radice etnica di Italia ed Europa, ma è l’unica per costoro con pieno diritto di cittadinanza. Un altro presupposto sottointeso è la reciprocitĂ . Per cui dal momento che nel mondo islamico c’è intolleranza ( è ancora fresca la vicenda del rapimento delle fanciulle nigeriane islamizzate a forza) a intolleranza si risponde con intolleranza. E anche in questo caso con questo presupposto direi stupido si offende un principio laico; che è quello di fare scelte pragmatiche, ‘hic et nunc’ senza curarsi che altrove si facciano invece scelte ideologiche e di principio.
Detto questo la vicenda si apre comunque ad altre riflessioni critiche.
La prima è di metodo.
Esistono sicuramente due forme opposte per garantire la laicità di una Repubblica come la nostra e come quelle che ci sono in Europa. La prima, mi pare molto seguita dalla Francia, è una laicità esclusiva o meglio escludente. In sostanza vuole la neutralità totale dello Stato di fronte a culture e valori e pretende che lo spazio pubblico sia totalmente vuoto e sgombro da condizionamenti culturali, presenze, principi estranei alla Costituzione, segni e simboli, sgombro da tutti, neutro, imparziale e, appunto, escludente tutto ciò che non concerne gli atti pubblici. Questa forma è la più sicura e semplice, ma annida al suo interno un rischio: quello di far apparire lo Stato come un oppressore che assorbe tutto, un moloch burocratico la cui funzione è quella di non consentire nessuna invasione di campo. Il rischio sta nella potenziale disaffezione proprio nello Stato visto come nemico della ricchezza e della articolazione culturale della società che, questo è fin troppo vero, non può esaurirsi nella forme essenziali e nei valori repubblicani, soprattutto se non li osteggia.
La seconda all’opposto è una laicitĂ inclusiva che consente a tutte le culture di occupare, qualora sia loro utile o necessario, lo spazio e il tempo pubblico. E’ la piĂą difficile da praticare e soprattutto da organizzare, ma è vero che è anche la piĂą adatta alla societĂ del secondo millennio che si va strutturando in modo multietnico e liquido. Ha inoltre il vantaggio per lo Stato o per l’ente pubblico, come in questo caso il Comune, di farsi percepire come amico e garante di ogni espressione culturale. La scelta del Comune di Venezia per ciò che attiene alla disponibilitĂ ad un orario esclusivo di accesso in piscina alle sole donne per favorire le islamiche è di questo segno; e giustamente noncurante del fatto che l’atteggiamento escludente, in questo caso verso il sesso maschile, stia proprio nella richiesta; perchè la laicitĂ Â non si cura della coerenza della reciprocitĂ e accetta, come vedremo, le contraddizioni di ogni richiesta.
Si aprono tuttavia alcuni interrogativi che lascerei sospesi per un dibattito, credo utile, e a cui per ora anch’io non saprei dare risposta.
Se la Repubblica e lo Stato sono imparziali e neutri come lo devono essere anche nell’inclusione, teoricamente tutti i gruppi o singoli che si facessero avanti per occupare lo Spazio e il tempo pubblico in nome dei loro principi di cui non devono render conto avrebbero diritto ad occuparli, fermo restando che non nuocciano all’interesse generale e collettivo. D’altra parte l’iniziativa privata in economia si mescola continuamente con lo spazio pubblico, vantando anche a volte il diritto di essere favorita se ciò anche nel loro caso non nuoce all’interesse generale e collettivo. Ma c’è un limite ? Tutte le culture tutte le espressioni, a questo punto non solo religiose, hanno diritto ?  C’è una titolarità di alcune richieste piuttosto che di altre ? C’è chi dice che come titolo ci sia una rilevanza nel numero ( come nel caso della religione islamica in Europa) c’è chi pragmaticamente suggerisce che di volta in volta si decida di fronte a una richiesta esplicita; con l’avvertenza che nessuno si deve sentire offeso da una manifestazione culturale di altri perché la società laica accetta le contaminazioni. Però il problema resta. Perché inoltre, a voler estendere la questione,questa tolleranza apre la strada scivolosa verso le possibili obiezioni di coscienza nei confronti delle leggi dello stato in nome di una doppia morale, in cui quella personale che deriva i propri principi da quelli religiosi deve poter prevalere ed essere anzi prevista dalla legge. Nella questione dell’aborto ciò è chiarissimo. E perché mai solo in quel caso? Certo in quel caso è la stessa legge a prevedere l’obiezione, ma altri casi per altre leggi potrebbero presentarsi come del resto avveniva quando il servizio militare era obbligatorio. E via all’infinito.
La seconda riflessione è nel merito.
Si capisce che nel caso delle donne islamiche e del loro diritto alla piscina può esser fatta prevalere anche una forma di compassione che sostanzialmente dice: già sono discriminate per il loro sesso e messe sotto in un’infinità di occasioni; lasciamole almeno questa possibilità che poi sostanzialmente verrebbe loro negata..
Si rifletta tuttavia che con questa apprezzabile attenzione si avvalla in qualche modo e si protegge una norma sessuofobica discutibilissima, da quel che so anche rispetto ai testi sacri islamici e tutta coniata dalla tradizione; norma lontana anni luce da qualsiasi principio di libertà individuale, altro caposaldo laico per cui la si favorisce, la libertà individuale, quando non lede quella altrui ( e tra quella altrui non si può mettere certo la fissazione di un marito o di un padre imbevuta di ideologia sessista). Questa sessuofobia che ritiene che il corpo femminile  non debba mai essere visto da altri uomini  ha altre forme ancor più discutibili che un domani potrebbero richiedere spazi e servizi pubblici; anzi mi pare che la richiesta sia già stata fatta. E penso soprattutto all’infibulazione; una pratica questa che si presenta come variante crudele della stessa mentalità oppressiva nei confronti delle donne. Che fare ? Che cosa rispondere?

Carlo Rubini (Venezia 1952) è stato docente di geografia a Venezia presso l’istituto superiore Algarotti fino al congedo nel 2016. Giornalista Pubblicista, iscritto all’albo regionale del Veneto e scrittore di saggi geografici, ambientali e di cultura del territorio, è Direttore Responsabile anche della rivista Trimestrale Esodo.