Il recente matrimonio di George Clooney con la bella Amal Alamuddin ha ancora una volta riportato all’attenzione dei media internazionali la nostra città con la sua esclusività , con la sua ineguagliata specialità , con la sua incomparabile bellezza.
E per fortuna che si è trattato di un matrimonio, perché “era solo un anno fa” che Venezia era andata di nuovo sotto i riflettori internazionali per la tragica morte del turista tedesco Joachin Vogel.
Tutto ciò che riguarda la nostra città e che sia solo appena-appena fuori dallo standard diventa evento degno di essere commentato e diffuso a livello mondiale.
La specialità si trasfigura in eccezionalità nell’immaginario collettivo mondiale e nell’epoca della comunicazione diffusa e senza barriere Venezia facilmente sollecita l’interesse e la curiosità , spesso esasperata.
Potremmo citare tutto ciò che ha “fatto notizia” o che ha suscitato scandalo a vario titolo e che se si manifesta in altri ambiti urbani passa del tutto sotto silenzio e non viene nemmeno preso in considerazione dai media alla stregua delle banalità o spazzatura mediatica: le tariffe fuori controllo di gondolieri e/o motoscafisti, l’utilizzo improprio dei cestini portarifiuti per le funzioni corporali, la scalata alle statue del Palazzo Ducale, il pediluvio in Canal Grande o nell’acqua alta di Piazza San Marco, il picnic sotto le Procuratie, e ultimo ma non ultimo il passaggio delle Grandi Navi in Bacino di San Marco dopo la tragedia dell’Isola del Giglio (perché, è bene ricordarlo, prima nessuno o quasi ci faceva caso…)
Una città che avendo perduto del tutto le sue funzioni produttive ha trasformato la sua unicità nella più potente delle leve per attrarre visitatori (“turisti” è una parola troppo grossa in relazione al concetto di rispetto, di capacità fruitiva, di conoscenza storico/artistica, di dedizione ai luoghi, di capacità di godimento delle bellezze e delle specialità urbane e ambientali). Ma l’ha fatto a suo discapito e persino a dispetto di sé stessa e dei suoi abitanti.
Non saremmo qui altrimenti a lamentarci un giorno sì e l’altro pure dell’invasione, della massificazione, dello sfruttamento, della mancanza di governo del fenomeno.
Ma Veneland non è sola nel panorama nazionale; se riflettiamo sul fenomeno dell’invasione turistica e dei meccanismi internazionali che lo generano e lo gestiscono, alla luce dell’esplosione di economie di Paesi che fino a ieri non venivano nemmeno presi in considerazione in qualità di possibili clienti/utenti, dobbiamo parlare di Italyland.
Perché è del tutto ovvio che noi siamo tutti miopi e guardiamo con occhio critico solo le cose di casa nostra, del nostro orticello che va dal Ponte di Calatrava all’Arsenale; ma non ci rendiamo conto di quello che succede a Firenze o a Roma, solo per fare un paio di esempi altrettanto clamorosi per difficoltà gestionali.
Ma c’è un di più: a sentir parlare l’intera classe dirigente di questa nostra Italia, il turismo viene citato sempre come una risorsa non solo “infinita” e “inestinguibile” ma come un’industria che produce il secondo o il terzo fatturato nazionale.
Solo che nessuno la gestisce nĂ© come industria nĂ© tantomeno come risorsa di qualitĂ . Ci si limita a citare la quantitĂ /qualitĂ del patrimonio artistico, architettonico – e aggiungiamo anche ambientale – di cui disponiamo e che rappresenta, a detta dei piĂą, il 40% dell’intero patrimonio mondiale: punto! Tutto qui e niente di piĂą.
Se si va avanti di questo passo, nell’inerzia e nello cullarsi sulle glorie del passato, senza agire né per conservarne l’integrità (Pompei solo per citare il caso più disastroso e recente) né tantomeno per valorizzarne la gestione che solo un progetto di investimenti e di risorse organizzative e infrastrutturali renderebbe davvero proficuo e redditizio, non solo scaleremo all’indietro le classifiche mondiali ma vedremo le “orde dei nuovi barbari” (visitors dell’epoca moderna) consumare e impossessarsi non solo metaforicamente dei luoghi dell’arte e della cultura (palazzi, dimore storiche, pezzi di patrimonio artistico e architettonico).
I fenomeni mondiali alla George Clooney generano inevitabilmente un processo di emulazione e di desiderio diffuso che, rimanendo a noi, una cittĂ come la nostra non saprĂ gestire e che, al meglio delle condizioni, guarderĂ come un qualcosa che la spersonalizza e la rende sempre piĂą palcoscenico destinato ad altri protagonisti, diversi dai suoi cittadini.
Il business e l’economia che si genera lascia qui le briciole e porta altrove i redditi: solo per ricordare la recente indagine Confcommercio sulle proprietà immobiliari dei negozi di maggior pregio commerciale in Città e che non è disgiunta dalla situazione delle proprietà immobiliari, ma anche gestionali (le grandi catene internazionali) dei Palazzi destinati ad uso alberghiero. Qui al massimo facciamo i commessi, i camerieri e i porter, con buona pace del turismo come risorsa.

Veneziano, con i piedi nell’acqua, dalla nascita (1948). Già Amministratore Delegato di una Joint Venture italo-tedesca di accessori tessili con sede a Torino. Esperienze di pubblico amministratore nei lustri passati. Per lunghissimi anni presidente del Centro Universitario Sportivo di Venezia (CUS Venezia)