“Buona scuola”: PROPOSTA aperta per una riforma
15 Ottobre 2014La galassia delle società partecipate
16 Ottobre 2014
C’era una volta la donna in politica. Eskimo abbondante e avvolgente, zoccoloni ai piedi in stile olandese, gonna a fiori lunga e scampanata, capelli raccolti, poco trucco, il minimo sindacale di femminilità, ma tanta voglia di cambiare il mondo. Era il profilo della militante anni ‘70. Criticatissima per la contraddizione che incarnava: una donna poco femminile era uno stridente ossimoro che generava diffidenza e sospetto. A distanza di quarant’anni non ci mancano quegli indumenti informi che la rendevano goffa, e stridevano con i nostri sogni di bambine che avevamo amato le scarpette d’argento e il vestito d’oro di Cenerentola. E non ci mancano neanche quei visi impietosamente rugosi. Gli ideali sì, le aspirazioni ad un mondo migliore sì, il desiderio di un cambiamento che ci renda tutti uguali sì. E ci manca quell’ingenua consapevolezza secondo cui una donna, per affermarsi e pesare nella società, dovesse curare, prima di tutto, il proprio patrimonio di idee e di competenze. E non tanto l’efficacia del mek-up, la tonicità dei muscoli, la lunghezza delle gambe e le misure delle sue circonferenze.
La donna, un tempo, faceva politica nelle retrovie. Disdicevole e umiliante, mi si farà notare. Forse. Le donne che occupavano ruoli istituzionali erano poche. Ricordo la Falcucci, Tina Anselmi, l’indimenticabile Nilde Jotti, la Bonino, protagonista indiscussa di importantissime battaglie. Di queste – chissà perché – si ricordano a stento i visi, non venivano fotografate in bikini al mare e non comparivano mai sulle riviste di gossip. Tuttavia, la vera politica la facevano gli uomini. I veri protagonisti delle Istituzioni.
Poi venne Berlusconi. Forza Italia. Il partito azienda, con un esercito di militanti che prima ancora di dire e di essere, dovevano apparire. Il partito immagine, insomma. E chi, meglio di tante belle ragazze, seni generosi, vitini di vespa, chiome fluenti, occhi ammalianti e una laurea a cranio (che al giorno d’oggi non si nega a nessuno) potevano incarnare la nuova dimensione etico culturale dei partiti? Quei partiti che, da unità un tempo disciplinate e fortemente caratterizzate da ideologie di parte, si erano trasformate ormai, col grande magnate della politica italiana, in corti di adulatori e coorti di soldati profumatamente pagati?
Berlusconi non c’è più. O quasi. O è poco presente. Insomma, ha ceduto, che lo volesse o no, il testimone. Ora c’è il nuovo. E i meriti, il valore, la grandezza delle persone e, nella fattispecie, delle donne, si era sperato che trionfassero. Hanno trionfato? Non so. Sto aspettando che accada. Intanto nuvole rosa cinguettano, con accento fiorentino, tra i banchi di Montecitorio e tra gli scranni più alti della Repubblica. E ho la vaga percezione che i fondamenti della buona politica di questo nuovo che avanza al femminile non sia tanto una buona scuola di partito, quanto piuttosto brave parrucchiere, estetiste preparate e stilisti altamente professionali. Ma sì, mi si obietterà, sono le quote rosa! Avete voluto la parità e ora la criticate? Certo che no. Ma, quando vedo una Boschi (di sicuro brava, preparata, competente) che mi pare, però, l’immagine speculare della Carfagna, l’alter ego dell’ex ministra più bella del mondo, solo un po’ più bionda, più morbida ed evanescente, continuo a nutrire qualche dubbio sull’effettiva parità conquistata dalle donne. E sulle ragioni di tale parità. Pregiudizi da cinquantenne inacidita ripiegata sul passato? Forse, e vorrei tanto sbagliarmi. Intanto sto aspettando che all’abbassamento dell’età media di ministre e parlamentari corrisponda un innalzamento della loro capacità di cambiare il corso delle cose così tanto in accelerazione. Sto aspettando, sì. Posso fare altro, per caso?