A Belen tutto, a noi niente?

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Qualche settimana fa è rimbalzata dal Fatto Quotidiano, una notizia che in tempi quali ci troviamo, ha suscitato clamore, almeno un po’, come si suol dire, nella cerchia,  molto ristretta, di certi miei amici e colleghi ricercatori o “tale-vorrei-essere-da-grande” (molto grande). Mi riferisco ai 200.000 euro di finanziamento al nuovo film che colei che è oramai innegabilmente, l’icona femminile nazional-popolare, ha ricevuto per il suo prossimo film[1]. La notizia, con la tipica ironica irriverenza della testata,  veniva presentata con una splendida foto della show-girl venezuelana che in questo povero (forse più del suo ) Paese, ha trovato fortuna. Credo che tutti, almeno tra coloro che su di lei abbiano poggiato la propria attenzione, e non solo, ci si sia chiesti se al suo Paese sia davvero qualcuno, al punto da meritare non solo titoloni “farfallini e birichini”, ma anche questi popo’di soldoni.

Sia chiaro: chi scrive non sente di dover nutrire nei suoi confronti così tanta accidiosa invidia, neppure, ebbene sì!, per il suo angelico e pur sfrontato fascino latino-americano. Neppure per i titoli sul Fatto, e su molto altro: se grazie alle tue ricerche, ti cita, anche solo una volta, il Sole24Ore, puoi ritenerti più che appagata.

I modelli femminili a cui penso, in altre parole, quelli dello show business che da sempre catturano la nostra attenzione e che di converso, ci rimandano l’immagine dell’archetipo sociale femminile, e con i quali voglio proprio azzardare un confronto, sono quelli delle splendide icone degli Anni Quaranta e Cinquanta del cinema hollywodiano. Si badi bene: pur dotate di notevole classe, e persino di cervello e cultura,  non necessariamente mostravano meno centimetri di pelle della nostra scanzonata Belen, e non è detto che non proponessero modelli comportamentali meno scandalosi; a questo proposito mi viene in mente Marlene Dietrich, prima angelica Lola , in seguito così androgina. Per il paragone che sto tentando, penso piuttosto alla scandalosa Hedy Lamarr, europea di nascita, austriaca, nata a Vienna capitale nel 1914, in un momento storico di maturo sviluppo mitteleuropeo, anzi già in fase di pieno decadimento identitario, se si considera che il connazionale Musil aveva  scritto pochi anni prima, nel 1906  I turbamenti del giovane Törless, mentre L’uomo senza qualità sarebbe stato dato alle carte tra il 1930 e il 1933. Il film Estasi, diretto dal regista e sceneggiatore ceco Gustav Machatý, nel quale la Lamarr compariva nuda, tra le prima attrici cinematografiche, in una breve sequenza a sfondo bucolico, uscì nelle sale proprio nel 1933, e nonostante la forte censura che subì, finendo in certi casi ad esser anche tolto dal mercato, venne presentato alla Seconda Mostra del Cinema di Venezia nel 1934.

La formazione culturale ereditata dal pedigree familiare di altissimo livello, non poteva essere delle migliori: per dedicarsi definitivamente al mondo dello spettacolo, Hedy rinunciò agli studi di ingegneria già intrapresi e per i quali veniva già ritenuta particolarmente dotata, in un momento storico e sociale in cui un ingegnere donna (o “una ingegnera”) era cosa ben meno frequente di oggi. In seguito, di se stessa come attrice, ebbe a dire: “Non è difficile diventare una grande ammaliatrice: basta restare immobile e recitare la parte dell’oca”. La Lamarr, mancata nel 2000, è riuscita comunque a passare alla storia per ben altra performance “culturale”: la tecnologia delle comunicazioni le deve, insieme al suo amico compositore George Antheil, il brevetto n. 2 292 387, in sostanza quello della crittografia, quello stesso che venne poi adottato nel 1962 come sistema di comunicazione a bordo di tutte le navi impegnate nel blocco di Cuba.

Non è difficile risalire alle informazioni che io stessa divulgo in questo mio breve intervento: trattandosi cioè di tecnologia, dotata come sono della tipica repulsione da umanista per quanto mi è ostico, mi limito a trascrivere in cosa l’invenzione consistesse: “La scoperta fondamentale di Lamarr/Antheil fu che la trasmissione di onde radio poteva essere trasferita da un canale radio all’altro a intervalli di tempo regolari in una sequenza di successione dei canali nota soltanto al trasmettitore ed al ricevitore. Nel dirigere la sequenza sincronizzata e concordata di cambio dei canali, Antheil suggerì di adottare — come rudimentale codice macchina — un sistema simile a quello dei rotoli di carta perforati usati nelle pianole meccaniche. Il progetto fu così presentato al “National Inventors Council” di Washington e brevettato l’11 agosto 1942 come “Sistema di Comunicazione Segreta – n. 2 292 387”.

Torniamo però a ben meno gloriosi, e luminosi, giorni, e cerchiamo di rimettere in ordine le cose. Belen ha ricevuto quei 200.000 euro ancor prima di dar prova al pubblico, pure quello pagante, della sua epocale interpretazione in un film, sulle cui tematiche, come attivista di Diritti civili, potrei trovarmi d’accordo, trattandosi della storia di una coppia gay; tema che di questi tempi la cultura sociale italiana si sforza però di accettare a suon di spot pubblicitari a sfondo culinario. Chissà, sarà proprio il caso di dire che così il tema “va giù meglio”.

L’articolo del Fatto permetterà certo a chi lo voglia, di ricostruire con chiarezza la genesi di un simile finanziamento, in un momento politico ed economico del nostro Paese nel quale, se parlare di contributi alla ricerca è roba da marziani, persino le spese natalizie ci vedono sempre più esperti di “caccia al discount”, che non necessariamente, ammettiamolo, pretendiamo di trovare dietro l’angolo.

Penso però ad un altro episodio che riguarda la nostra show girl sudamericana, e che mi sembra abbia suscitato ben minor attenzione del finanziamento all’opera cinematografica. Qualche settimana fa, mi trovavo  in una bella libreria Feltrinelli, di quelle dove si presentano libri che sono frutto di ricerche vere, oltre che di speculazioni personali, e avvicinandomi alla fornitissima sezione di libri fotografici, accanto al consueto volume che raccoglie “i più bei scatti del National Geographic”, oltre a ricercati volumi di design, ci vedo un libro fotografico della nostra, con prefazione di quella cima del giornalismo che è Alfonso Signorini, i cui contenuti sono, in sostanza, ritratti di Belen “come stava Hedy nel film Estasi”.

Cosa mi infastidisce in tutto questo?Oltre alla noncuranza del nostro Ministero dei Beni e delle Attività Culturali che lascia letteralmente crollare Pompei, mi preoccupa, anche dopo diverso tempo all’estero, la noncuranza nostra italica tipica a non voler iniziare a rimediare a mali di tipo prettamente sociale e culturale, perché tali sono quelli dell’immagine e del ruolo femminile nella nostra società, e che sono poi gli stessi che, a mio avviso, ci permetterebbero di iniziare a rimediare all’imperante corruzione.

Mi preoccupa, anche dopo diverso tempo all’estero, la noncuranza nostra italica tipica a non voler iniziare a rimediare a mali di tipo prettamente sociale e culturale, perché tali sono quelli dell’immagine e del ruolo femminile nella nostra società, e che sono poi gli stessi che, a mio avviso, ci permetterebbero di iniziare a rimediare all’imperante corruzione.

Continuerò nonostante tutto, a completare le mie ricerche dottorali, pagate profumatamente all’estero, ma sostanzialmente auto-finanziate in Italia; continuerò ad andare alla Feltrinelli, nonostante una, spero comprensibile, delusione. Almeno il libro fotografico di Belen, l’avessero lasciato vendere alla Libreria Mondadori. Sarebbe bello che si riuscisse ad essere onesti fino in fondo, nel momento in cui si decidesse di risalire all’origine del male, magari per curarlo. Tutta colpa delle prosperose ragazze dell’innocente Drive In, dove iniziò anche Faletti?In realtà, mi vengono in mente l’Alba nazionale ai tempi del filosofo e docente bolognese Bonaga; mi ricordo della ostentatamente dalemiana Ferilli, che dovette proprio farsi vedere “alla Hedy Lamarr”, quando la sua squadra del cuore aveva vinto lo scudetto, e di quel periodo in cui l’Espresso sapeva bene cosa mettere in copertina per vendere di più.

Non è politica, anzi, togliamocela proprio, il sedere non è di destra, e la coscia non è di sinistra: è solo questione di ammettere che il decadimento culturale del Paese con il patrimonio culturale più sostanzioso del mondo, è un altro dei tanti problemi che affrontiamo male. Perché “la colpa” non è neppure della scaltrissima Belen: credo sia chiaro a tutti che si dovrebbe evitare di darle così tanti soldi, prima ancora che ci dimostri di saper fare qualcosa, che porti anche un contributo effettivamente nuovo all’immagine delle donne di oggi.

Resta solo a noi la scelta di modelli sociali e culturali che o vanno meglio valutati o del tutto scartati, come a mio avviso, dovrebbe fare insieme a noi il catalogo Feltrinelli.

 

 



[1] http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/11/21/belen-rodriguez-200mila-euro-finanziamenti-pubblici-per-suo-film/1225501/