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Alle volte quando la situazione è complessa e c’è un vuoto di risposte ci si lega a un personaggio simbolico o a un libro rivelatore, nella speranza di trovare una soluzione.  Settis incarna il desiderio di riscatto degli italiani che difendono ad oltranza dei beni storici e del paesaggio.

L’ultimo suo libro “se Venezia muore”, prende spunto da Venezia come paradigma dei rischi che le città storiche subiscono per gli attacchi della modernità, e ne ruba l’anima, i beni intangibili della nostra civiltà, e quel valore non monetizzabile che costituisce la nostra cultura secolare.

Per questo per me e per molti, il libro ha creato una grande aspettativa, e l’ho letto avidamente sperando a un certo punto di trovare una soluzione all’enigma Venezia, una città ancora antica e intatta nella sua forma ma piena di minacce, un’isola piccola delicata assediata da un numero crescente di visitatori.

Ecco perché vado controcorrente rispetto all’unanime consenso suscitato dalla presentazione del libro (il 9/12/’14, all’Istituto di lettere Scienze e Arti).  Sono rimasto alla fine un po’ deluso: dopo un susseguirsi di denunce, critiche di progetti strampalati, di proclami futuristi, appelli al pericolo di svendita, al rischio della morte, tutto è rimasto su un livello astratto rispetto al terreno della complessa realtà quotidiana. Un susseguirsi di negazioni di cose da non fare, ma mai dicendo cosa bisognerebbe fare, insomma senza proporre nessun rimedio o soluzione concreta.  Tutto riassunto nel concetto di “Venezia non deve diventare come Chongqing” e “la bellezza non è una merce”.

Solo nelle ultime due pagine ci sono parole che dovrebbero essere un cenno di soluzione, ma ancora generiche e solo di principio:  “preservare l’unicità della città, cura del contesto e dell’ambiente, priorità del valore d’uso della città sul valore di scambio, la funzione sociale della proprietà, garantire il lavoro creativo dei cittadini, e il diritto alla casa, “  e ancora “ invertire la logica perversa dell’esodo favorendo la residenzialità dei giovani, arrestare la proliferazione delle seconde case,  unire laguna alla terraferma, rilanciando suoli agricoli e valli da pesca, incentivare la ricerca e la formazione professionale, riutilizzare edifici vuoti, cercare modelli, analizzare situazioni, valutare opzioni,  prendere iniziative di qualità come la Biennale”

Cose forse già sentite su cui tutti possono dirsi  d’accordo, ma come metterli in pratica? Cosa fare nel concreto? Che consiglio darebbe Settis al prossimo sindaco?  Altrimenti rimaniamo nel campo delle ipotesi utopiche di un mondo ideale, bellissimo ma poi la realtà con cui confrontarsi è un’altra, le categorie, il mercato, la libera circolazione delle persone, l’iniziativa privata, il lavoro, le leggi, la rivoluzione industriale, quella digitale etc  etc.

Insomma ci chiediamo: come unire i due piani alto culturale/accademico con quello politico/economico delle azioni concrete?

Cosa dovrebbe fare un sindaco una volta eletto, con milioni di turisti che bussano alle porte, con una domanda crescente e un mercato che by definition offre prodotti, e una città limitata fisicamente per sua stessa natura?  Ridurre licenze? Mettere altre tasse, fare un numero chiuso? Un test di intelligenza e cultura all’ingresso?

E cosa possono fare in alternativa tutti i veneziani che vivono di turismo, tutti lavori creativi come dice Settis? e chi glieli offre? C’è spazio per così tanti artigiani tradizionali e a chi si venderebbe?  Si rischia di staccarsi un po’ dalla realtà; di confondere delle tendenze planetarie di mobilità e leisure, soggette alle regole del mercato, con colpe dell’amministrazione.

Il comune si è dimostrato impreparato ma non ha tutti gli strumenti possibili nè la bacchetta magica: c’è la scala nazionale, ci sono altri poteri, e meccanismi di mercato che difficilmente si modificano, altrimenti saremmo in uno stato socialista.  Sicuramente si può fare di più e meglio, la direzione sembra chiara ma bisogna cercare cosa. Bisogna evidenziare nel concreto gli errori compiuti dalle amministrazioni per quanto di sua competenza, e su questo ci sono in primis l’assenza di governance dei flussi turistici, la svendita di patrimonio comune per colmare buchi di bilancio (oltre alla corruzione).

Ora che si va verso la campagna elettorale è il momento di proporre politiche diverse e inchiodare i candidati a una vera discontinuità nei metodi, nelle politiche e nelle persone.

Si potrebbe dire non spetta agli studiosi trovare soluzioni?  Loro fanno l’analisi e dicono che la situazione è grave, ma forse è un po’ poco in un contesto come quello di Venezia dove c’è un vuoto politico, c’è una disaffezione, o peggio, verso la politica, e dove ci si attende un messia che risollevi la situazione.

Prima di tutto ci vorrebbe una presa di coscienza collettiva sulla necessità di attivarsi tutti verso un nuovo vivere etico, senza dare sempre le colpe solo ai politici, facile alibi (i politici italiani sono solo lo specchio di un paese corrotto) e nè aspettarci sempre le cose dall’alto, ma dobbiamo fare ognuno la propria parte anche solo per dare un esempio di onestà e correttezza ai giovani.

Ebbene in questa fase di apatia forse dall’intellettuale impegnato ci si aspetta uno sforzo di elaborazione magari servendosi delle poche forze impegnate e sane della società civile, anche confrontandosi con la politica migliore e/o operatori del mercato illuminati.  Sostenendo chi ha progetti condivisibili per invertire la tendenza, dare benzina alle idee e alle cose concretamente fattibili, non solo quelle che non vanno. Noi abbiamo chiesto invano di essere ascoltati da Italia Nostra, Unesco etc, in un momento storico in cui la politica tradizionale è impermeabile all’impegno di cittadini e tecnici, anche se poi promette cambiamenti a ogni campagna elettorale.

Non ci aspettiamo che il filosofo-Agamben, l’archeologo-Settis, lo storico-Ortalli, il giornalista-Stella; che fanno bene il loro lavoro di studiosi, salvino Venezia, infatti per proporre soluzioni occorre conoscenza dei mercati, del turismo, dei media digitali, di diritto, del governo etc, ma ora crediamo che l’intellettuale possa avere un ruolo, scendendo a un profilo più basso, per favorire processi di cambiamento.

Crediamo che la denuncia e gli appelli vadano bene ma siano più utili se affiancati da un pensiero construens, da un sostegno per un’azione concreta; se ci si sporca le mani con la realtà, con il mercato, con la politica, si lascia la politica sempre agli stessi, sempre più chiusa e autoreferenziale, e da soli i cittadini e le associazioni che vogliono fare.  Le esperienze di intellettuali che sono entrati in politica, sono spesso deludenti o hanno lasciato presto dicendo che non c’era niente da fare, ma allora perché non fungere da incubatore, fertilizzatori di idee e processi, per innestare forze nuove sane nella politica, affinchè la politica sia riformabile al proprio interno, introdurre in un corpo malato l’antibiotico che curi il morbo, crediamo che l’unica soluzione sia aiutare questo ricambio e verificare che si proceda poi nella giusta direzione.

Noi veneziani, di moniti ne abbiamo sentiti tanti, ma non siamo tutti affetti da Cargo Cult (termine dell’antropologia che Settis associa alla situazione veneziana, è la malìa che gli indigeni della Polinesia avevano per tutto quello che era nuovo, grande, luccicante fino a idolatrarlo perché pensavano creato dagli dei), ancora ci impegniamo quotidianamente e concretamente per la sopravvivenza di Venezia per questo avremmo chiesto provocatoriamente a Settis, cosa farebbe con 27 milioni di turisti che arrivano ogni anno..?

 

 

L’aspetto più interessante della presentazione è stata infatti la parte finale delle domande,  l’accorato appello degli ultimi veneziani impegnati che si sentono impotenti, per un aiuto concreto a Settis per dare voce di un popolo che ancora resiste con anima e cuore. (per es. la diffida all’uso improprio dell’Arsenale, la vendita di Villa Heriot etc). Ma dal palco Italia Nostra dice che i rimedi proposti sono di operatori sprovveduti o furbastri, le soluzioni stupide o affariste, mi sembra quanto meno un pregiudizio senza ascoltarne i contenuti, e di nuovo si entra nel vortice di critica/denuncia/allarme/critica etc..

 

Venezia è stata preservata dal punto di vista architettonico etc , i progetti citati nel libro erano spesso provocazioni irrealizzabili come le autostrade di Marinetti, e sono tanti i comitati che puntano alla salvaguardia e restaurano beni culturali, il problema vero è un altro: la politica debole che cede alle pressioni del business, e prima di tutto come regolare, limitare e qualificare i flussi turistici?  Come gestire l’eccesso di domanda, garantendo la libera circolazione e l’economia turistica che mantiene la città?

Quali sono le soluzioni concrete? Sostenendo queste Settis potrebbe dare un grande apporto alla NON MORTE DI VENEZIA,  rischio denunciato con un discorso di principio giusto, molto ben argomentato e con passione civile,  che però rischia di mischiarsi insieme alle altre grida d’allarme sulla morte di Venezia che ci sono da decenni e anche da secoli, e che in pochi ascoltano perché sono rumore di fondo. Venezia ora ha bisogno di un contributo costruttivo per nuove politiche, e il supporto degli intellettuali anche solo esternamente sarebbe importante; altrimenti se rimangono solo parole, seppur belle parole, Venezia muore veramente…