Questa mia riflessione sorge dopo aver trascorso alcuni giorni con un amico originario dell’Europa centro-orientale, che qualche settimana fa, è venuto a Venezia a cercare lavoro. Lo chiamerò Zoran. Si potrà argomentare che di questi tempi si tratta di un problema di ardua risoluzione persino per noi Italiani:in realtà siamo ben consapevoli quale tipo di risorsa sia il turismo nella nostra città, ma forse, qui in prossimità della laguna, tendiamo a non aver sempre in mente le altre grosse “attrazioni” presenti nell’intera Regione, come ad esempio la zona termale in provincia di Padova, il Lago di Garda, o molto semplicemente, Jesolo, Caorle o Bibione. Si potrà argomentare che il tipo più probabile di offerta proveniente da questi contesti, sia quella stagionale, ed in effetti così è. Ma forse non sempre si ha in mente che per un lavoratore straniero, proprio questo è il primo tipo di occupazione tramite la quale ci si può inserire nel mondo del lavoro in Italia. In sostanza, sono i nostri “decreti flussi”, annualmente emanati dal Ministero dell’Interno, che regolano quanti e qual tipo di figure professionali possono aspirare ad un’assunzione qui in Italia. Gli ultimi due decreti di questo tipo, risalgono allo scorso dicembre. Il primo regola la possibilità di conversione del permesso di soggiorno per quegli stranieri che già qui presenti regolarmente, vogliano ad esempio cambiare il loro status giuridico da quello di “studente” a quello di “lavoratore subordinato e/o autonomo”; il secondo è il così detto “Decreto Expo”, che in occasione del prossimo evento milanese, ha stabilito un numero di poco meno di 18.000 posti di lavoro a cui possono aspirare, e in cui quindi rientrare, i lavoratori stranieri. Senza tralasciare il fatto che questo comporta anche una localizzazione geografica specifica per coloro che riusciranno a rientrare in quella quota, ossia dovranno lavorare tutti a Milano. Infine, vi è ancora una quota di poco meno di 2000 posti per “lavoratori stagionali subordinati”, che possono aspirare ad un impiego in due settori, e non più di quelli, ossia quello turistico-alberghiero e quello agricolo; tuttavia, la scadenza massima del primo decreto fissata a fine agosto, permetterebbe di riuscire a usufruire della possibilità, a stagione conclusa, di convertire il proprio permesso, ad esempio, in “lavoratore subordinato a tempo indeterminato”, nel caso in cui il datore di lavoro decida di prolungare l’assunzione.
Credo sia già possibile fare qualche considerazione: gli immigrati ci rubano (o ruberebbero) davvero il lavoro? A scorrere gli annunci di lavoro della sola Jesolo,si direbbe proprio di no, anzi: non è raro imbattersi in “ricerche urgenti” di personale. Chissà se quei circa 2000 autorizzati dal decreto, rappresentano, per quest’anno, la cifra sufficiente per coprire le necessità reali del litorale fino a Lignano, posti di lavoro che in alternativa, verranno adocchiati dai nostri studenti (sicuramente). Va detto poi che la regolamentazione dei lavoratori stranieri, tramite una cifra definita, è cosa relativamente recente, non prima del 2010: fino ad allora, senza quote-limite, la possibilità di lavorare in Italia, era data da una consuetudine che ci è più familiare, ossia tramite un regolare contratto di lavoro a cui seguiva un permesso di soggiorno, ottenuto dopo essersi recati, muniti di contratto, al più vicino ufficio della questura per notificare la propria presenza nel territorio.
Quel che però mi preme di più comunicare in questo intervento, è l’odissea attraverso cui Zoran è passato, per avere anche solo la certezza che quella che ho descritto, sia la corretta procedura che devono seguire coloro che dall’estero, vogliono venire a lavorare in Italia.
In gennaio, prima del suo arrivo, mi ero recata al preposto ufficio della Prefettura, a chiedere informazioni, ed è chiaro che in quel caso ero stata davvero fortunata. Avevo trovato un funzionario molto gentile e preparato che mi aveva dato della spiegazioni corrette ed esaustive, facendomi persino presente l’imminenza del Job Act , che mi disse, “potrebbe comunque apportare ulteriori modifiche all’attuale quadro legale del lavoro immigrato”. La correttezza delle sue informazioni mi era stata confermata da quanto avevo capito, rivolgendomi anche allo “Sportello immigrati” di un importante sindacato italiano, dove i due disponibili, pazienti e preparati impiegati sono rispettivamente di nazionalità ucraina e senegalese, che ovviamente parlano anche un ottimo italiano. Con gentilezza, hanno spiegato ad una “non immigrata”, come funziona tutta la questione.
Il mio amico però è una persona particolarmente pignola, che ha già maturato una lunga e formativa esperienza di lavoro in un altro Paese europeo, ossia l’Austria, dove ha lavorato per un grande gruppo industriale giapponese. Il suo approccio quindi, non è quello di chi alle prime armi, si sofferma alle prime spiegazioni che riceve. L’idea di Zoran di recarsi personalmente a quello stesso ufficio della Prefettura dove a gennaio avevo ricevuto spiegazioni, è sorta dopo aver capito che il suo curriculum non può esser messo all’analisi delle “umanissime” agenzie di lavoro proprio perché non dispone ancora del permesso di soggiorno. In altre parole, la situazione gli è sembrata quella di un gatto che si morde la coda: in Italia ottieni il permesso se hai un lavoro, ma se non hai il permesso, il lavoro non lo puoi nemmeno cercare, e così via. La speranza dunque è che la Prefettura ti chiarisca le idee, anche perché è legittimo dubitare di quello che la tua amica può aver capito chiedendo da sola, soprattutto non trovandosi personalmente nella condizione potenziale di “immigrata”. Accade però che il funzionario presente a gennaio non ci sia più, e che colui che ci accoglie, dopo aver esordito con un “Ma sapete, non è esattamente quello di cui mi occupo,…”, ci dica che per quest’anno niente nuove assunzioni, ossia esiste come solo riferimento il “decreto conversioni” per chi in Italia si trovi già con regolare permesso di soggiorno, finendo a suggerire a Zoran di recarsi anche alla questura, dove potrà ricevere ulteriori chiarimenti. In sostanza, ne siamo usciti con le idee confuse. Tuttavia nell’attesa di esser ricevuto, Zoran ha avuto l’idea di chiedere lumi a due “compagni di ventura” di origini bengalese i quali a sentire la storia delle agenzie, confermano la selezione solo tra lavoratori già regolati qui in Italia, e gli fanno presente di rivolgersi dove non si applichi questa sorta di ulteriore pre-selezione. Si è presentata anche l’opportunità di avere una franca conversazione con un’impiegata di una di queste “umane” agenzie, che ammette: “Non avete idea di quanti lavoratori qualificati ci tocca scartare a causa di questa limitazione, ma sono leggi non decise da noi, e che certo non abbiamo modo di cambiare o ovviare.”.Si passa poi attraverso la locale Divisione provinciale del Lavoro dove ammettono di non essere nelle condizioni di dare alcuna informazione, oltre a far presente come non abbia alcun senso passare in questura, dove ci si reca solo a notificare il permesso di soggiorno quando finalmente lo si ottiene. La salvezza giunge, quando Zoran chiede di esser accompagnato al sindacato, e lì, l’arcano si risolve: oltre al “decreto conversioni”, a seguire il quale, per il 2015, nessun nuovo lavoratore straniero potrebbe cercare lavoro qui da noi, è stato emesso il “decreto Expo”, che invece autorizza quei circa 18.000 per l’evento milanese, oltre ai consueti stagionali, in due specifici settori d’impiego.
Dalla sua esperienza austriaca Zoran, ricorda “Centri per l’impiego” gestiti dallo Stato, e non da un sindacato, dove lavorano immigrati regolari di molte nazionalità differenti, tante quante sono quelle dei lavoratori stranieri in Austria, agevolando linguisticamente tutti coloro che non abbiano ancora acquisito sufficiente fluenza in tedesco; ricorda come da questi Centri si esca con le idee chiare, capendo, una volta fuori, cosa si deve fare; ricorda infine i controlli rigidi, o solamente regolari, sullo status di uno straniero, da parte della polizia.
Giungo finalmente alla conclusione, suggerendo un’esperienza “investigativa” come la mia, a chi volesse valutare bene cioè realisticamente, la “questione immigrazione”. Ho l’impressione che solo così si abbia modo di fare velocemente i conti su quanti lavoratori stranieri davvero potrebbero entrare in Italia ogni anno (solo poi in certi settori professionali, e per quest’anno addirittura in una specifica città), e di confrontarli sommariamente col numero di “stranieri” che ogni giorno ci ritroviamo intorno. Ripenso a quanto il mio amico Zoran ha detto: “A confronto dell’Italia, l’Austria è un Stato di polizia.”, e mi è chiaro che la nostra percentuale di immigrati irregolari deve essere notevole. Ma si sa, noi Italiani, che in questo momento facciamo fatica a ritenere prioritario avere un mercato del lavoro qualitativamente migliore, siamo e anzi, vogliamo essere “buoni”; poco aiutati in questo generico “buonismo” dallo scarso sostegno che ci offre la cosìdetta “Europa”, potremmo, cifre alla mano e meglio informati, aver modo di riflettere in maniera meno generica sui luoghi comuni dell’”immigrazione” (dal “Vengono tutti qui”, al “Non hanno voglia di lavorare, e paghiamo noi le tasse”). Io so che pago le tasse per lo stipendio di quei funzionari qualificati per confondermi le idee.

veneziano classe ’66, laureato in ingegneria a Padova è imprenditore nel settore della logistica, sia come agente marittimo che spedizioniere. È raccomandatario marittimo, broker assicurativo e direttore tecnico di agenzia viaggi. Ricopre la carica di presidente nazionale di Federagenti, l’associazione nazionale degli agenti raccomandatari. È consigliere regionale di Fiavet Veneto, l’associazione degli agenti di viaggio.