In questi giorni si sta festeggiando il settantesimo anniversario della liberazione dal nazifascismo. Tributi ai partigiani e alle lotte gloriose di quell’irripetibile generazione di eroi si sono moltiplicati in tutta la penisola. Ogni Comune che si rispetti commemora questo evento speciale. Anche quei Comuni che hanno sdoganato i nostalgici del ventennio e che, in modo spregiudicato, si nutrono di miasmi autocratici e xenofobi. Ma questa è un’altra storia, espressione dell’ennesima contraddizione italiana, che andrebbe approfondita, semmai, in altra sede. Anche il Parlamento ha voluto dedicare uno spazio significativo agli eroi della Resistenza, e il Presidente Mattarella ha ricordato il valore supremo della Costituzione, nata dalla lotta contro le dittature e il conformismo. Parole forti, dense di significato, che recano in sé il valore inestimabile della libertà e del rifiuto della concezione autoritaria, esaltatrice della guerra, del razzismo e della morte che il fascismo esprime. Parole che reclamano memoria. Per non smarrire il senso del passato, che è identità, presente e futuro, guida per le nuove generazioni.
Ma i giovani, hanno tutti coscienza del 25 aprile e del suo significato? Non voglio perdermi nella solita retorica della perdita di valori e della liquidità di una società senza riferimenti, post-ideologica, post-politica, senzaddio e senza partiti. E dunque senza storia. Non è sempre così, non è per tutti così. Ma ho come l’impressione che le celebrazioni non supportate da narrazioni efficaci, afferenti alla Storia e alle micro storie dei nostri giorni siano cerimonie belle e commoventi che scivolano dopo un po’ nell’oblio. Le nuove generazioni hanno bisogno di essere convinte. Hanno bisogno di essere aiutate a decriptare i segni importanti della Storia. Il nazifascismo, con il suo sciame di misfatti e di crimini, può insegnare molto, ma è altrettanto urgente capire come e con quanta facilità il Male possa riprodursi. Sembra banale e ovvio, ma ci siamo chiesti quante guerre civili, quanti programmi di pulizia etnica, quanti regimi dittatoriali, quanti fenomeni di razzismo spicciolo – ma non per questo meno gravi – dettati da ignoranza e pregiudizio, tendiamo a sottovalutare, pensando che, comunque, il nostro è un Paese moderno, democratico, maturo e vaccinato? Un esempio per tutti. Nella mia esperienza di docente di storia, quando racconto la guerra, la dittatura e la violenza, non mi fermo al nazifascismo. So che c’è – ahimè – tanto materiale su cui riflettere. Non mi stanco mai abbastanza di parlare della guerra dei Balcani, per esempio, conclusasi appena un ventennio fa a pochi chilometri da noi e tanto ignorata sia allora che adesso. Se solo si sapesse quanto sangue è stato versato in nome di un odio etnico tanto feroce quanto stupido, non si scadrebbe nelle campagne razziali così tragicamente attuali. La conoscenza rischiara la mente e conferisce valore morale. Educa. Insegna a scegliere e a vivere.
Sono passati 70 anni dal 25 aprile 1945. Certo, 70 anni senza guerre (almeno in Italia), ma di sicuro non senza insidie e violenze. E non senza i germi dell’odio. Aiutiamo i nostri figli a guardarsi intorno. Insegniamo loro la solidarietà. Spieghiamo che la libertà non è un bene duraturo e gratuito. Liberiamoli da un provincialismo che – la Storia ci insegna – è stato spesso causa di tanto dolore. Il valore della memoria diventerà più solido e, ai loro occhi, date importanti come il 25 aprile acquisteranno maggiore significato.

Laureata in filosofia, ha insegnato Lettere in una scuola secondaria statale in provincia di Milano. Scrive su alcune testate locali dove si occupa di scuola, libri, politica e costume. Ha pubblicato tre romanzi: “Criada” (Astragalo, 2013), “A due voci” (Leonida, 2017), “Fatale privilegio” (ilTestoEditor, 2023)