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Bisogna stare attenti a come si parla in certi ambienti in tema di opere pubbliche, battezzate ideologicamente da un pò di tempo, lo si sa, grandi opere. A Venezia sicuramente, ma ormai direi anche in tutta Italia bisogna stare molto attenti a come si parla. Le grandi Navi non sono grandi opere, ma tutto fa brodo e ci stanno dentro anche loro, probabilmente perchè grande opera è considerato, e forse lo è veramente, lo scavo del Canale Contorta che dovrebbe accoglierle per farle arrivare alla stazione marittima veneziana. L’Expò invece grande opera lo sarebbe, quantomeno per le installazioni e la superfice interssata, ma chi lo contestava l’altro giorno lo faceva per tutt’altro, vale a dire, mi par di aver capito, per gli sponsor a dir loro impresentabili ( Coca Cola e Mc Donald ) e per la loro filosofia e cultura sottesa. Però, ad abundantiam, anche l’Expò è nel mazzo delle grandi opere da contestare.

Contro qualsiasi opera c’è in definitiva un senso comune montante, politicamente trasversale, che in materia non ammette deroghe e non transige, tutto l’opposto del moderatismo e del prgmatismo ‘laico’ che un tema del genere meriterebbe.

A favore delle grandi opere si schierano invece per riflesso povloviano le forze che si autopercepiscono come distanti dal mondo che è contro. La destra generalmente e nemmeno tutta perchè quella localistica, conservatrice ed egoistica è tentata spesso dal fronte del no, assecondando il motto del ” non nel mio giardino od orto che sia”. Ma è un essere a favore delle opere, questo di certe destre, di maniera, un atto dovuto, mai supportato da una visione generale e soprattutto convinta.

Eppure, ed è su questo che vorrei riflettere, chi sta dietro le grandi opere ( politici, imprese, qualche mass media, mai per la verità opinione qualificata e men che meno diffusa) fa di tutto per fomentare un’opinione di massa contraria, quasi studiasse il metodo per averla e per costruirsela. Non dirò dei costi che lievitano e delle corruzioni annesse che parimenti alimentano l’opposizione; perchè qui ogni persona di buon senso capisce che solo in Italia e forse in altre repubbliche delle banane in giro per il mondo, che sono molte, opere pubbliche e corruzione e relativi costi alle stelle sono una variabile dipendente; e ogni persona di buon senso capisce che quindi il problema da noi non sono in sè le opere ma come e con chi e perchè le si fa e che soprattutto il problema per noi è cercare di non essere più repubblica delle banane. Le opere in se stesse non c’entrano niente, vanno bene o vanno male, vanno giudicate con altri parametri.

Ma non è questo il punto.

Vorrei soffermarmi invece sulla enorme mancanza di comunicazione e di coinvolgimento verso l’opinione pubblica di cui sono responsabili a diversi livelli tutti i committenti e i realizzatori delle opere. I quali responsabili offrono su un piatto d’argento tutti gli argomenti che diventano i mantra degli oppositori.

La prima comunicazione difettosa qualche volta è già nella fase già di realizzazione. Si, perchè mentre alcune opere sono sottoposte alla canea oppositrice fin dalla fase preliminare a cantieri ancora chiusi o da aprire, alcune, di cui nessuno parlava, te le ritrovi già belle e fatte. E incompiute. E la gente e l’opinione pubblica se ne accorgono; o meglio non si accorgono che sono incompiute anzi le pensa compiute così, ma si accorge degli effetti.

Si prenda la BreBeMi, l’unica autostrada che ha nell’acronimo la cifra di una città dove non si va e non si vuole andare ( non passa appunto per Bergamo e anzi la vuole evitare). E’ un tratto di 90 chilometri che comincia nel nulla e finisce nel nulla, del tutto sconnessa con la rete autostradale soprattutto con la storica A4 ‘Serenissima’ Milano-Venezia’, la più trafficata d’Italia, nella quale nei pressi di Brescia non c’è uno straccio di cartello che indichi l’A35 ( questo il numero assegnato alla nuova), anche perchè devi farti per raggiungerla, la A35, 10 chilometri di strada normale. A Milano  la BreBeMi si innesta su un tratto di tangenziale superesterna che dovrebbe collegarsi con la rete autostradale, ma che per ora è un troncone monco di 4 chilometri. Risultato: autostrada faraonica assolutamente vuota, traffico zero, mentre 10 chilometri più a nord la vecchia Serenissima è intasata come un uovo. La tangenziale superesterna di Milano su cui s’innesta la BreBeMi è un grande arco ad est della città e a 30 chilometri da Piazza Duomo che copre lo spicchio da sudest a nordest. Non addentriamoci sulla sua utilità che forse c’è e che forse c’entra anche con l’Expò ( e infatti non è stata compiuta in tempo per l’inaugurazione dello stesso).  Ma ci addentraimo invece sul fatto che per mesi ne hanno tenuti aperti solo 5 chilometri. Ecco allora servito in un piatto d’argento per esempio alla Gabbanelli di Report ( giornalista seria che giustamente fa le inchieste sui dati che ha, ma poi su questi ci marcia) e ai movimenti il dato inoppugnabile: opere assurde ( autostrada e tangenziale) che non servono a nessuno se non alle imprese che si fanno pagare. E il viaggiatore solitario non può che confermare. Probabilmente non sarà vero che in futuro non serviranno a nessuno. Ma certo che poi l’allacceranno al sistema autostradale e certo che poi apriranno tutta la tangenziale allacciandola alla rete. Ma intanto così d’emblée si comunica solo lo spreco; e bisognerebbe consigliare a chi di dovere di inaugurare le opere solo quando sono complete. Invece la fregola del fare induce a far vedere le anteprime, ottenendo tutto il contrario di quel che si vorrebbe far vedere.

Chi fa le opere certo le fa perché qualcuno le commissiona. Chi le commissiona è la politica e le istituzioni a tutti i livelli che hanno ricevuto mandato dagli elettori per farlo. Quindi la giusta battaglia di chi si oppone la si dovrebbe spostere  alla fase precedente la scelta da parte della politica o meglio ancora alla fase della scelta delle persone ( si chiamano ‘elezioni’) che poi a maggioranza decideranno di fare l’opera. E non dopo a decisioni prese.

Però è vero che chi decide non spiega, a cominciare dai programmi elettorali con cui si è fatto eleggere e magari chi gli dà il voto sbaglia a darglielo in assenza di programmi sulle opere che vorrà fare, alla cieca.

Qualcuno in qualche stanza dà l’input di fare la tal opera e un pool di tecnocrati sempre in una stanza fanno le loro strategie senza far trapelare niente e poi di botto escono con atti esecutivi già in corso.

Le opere pubbliche, che poi sono quasi sempre infrastrutture, devono essere giustificate da un’utilità comprovata. Per esempio non c’è niente che possa essere più necessaria di un’autostrada o una strada veloce a 4 corsie che affianchi e sostituisca la strada Romea tra Venezia e Ravenna. Negli anni ’60, quando l’avveniristica arteria fu inaugurata come strada veloce, ben poco lungimiranti furono i progettatori nel pensarla a due sole corsie, addirittura nel primo tratto su un argine di canale e facilitando innesti di viabilità normale con conseguente affollamento di attività e residenze sui due lati. Oggi è una strada pericolosa tra le più pericolose d’Italia. Va fatto un altro tracciato, non si scappa. Lampante è la malafede di chi propone solo di ammodernarla sul sedime esistente: semplicemente ciò non è possibile. Una parallela non è colata di cemento inutile se contemporaneamente quantomeno l’argine fino a Chioggia lo recuperi ad attività ricreative e a verde sullo splendido fronte laguna oggi irraggiungibile se non a rischio vita sulla maledetta strada. E non è colata di cemento inutile se rendi umani e vivibili, perchè attraversati solo da traffico locale, i centri abitati che si sono nel frattempo insediati ( Sant’Anna di Chioggia, per esempio).

Però tu progettista vuoi spiegarle, sant’Iddio prima quelle cose, vuoi far trasparire le intenzioni, vuoi documentare la pubblica utilità? Diciamocelo: nulla di questo avviene. Nei documenti i passaggi sono criptici. E la vaghezza favorisce l’uso strumentale degli oppositori. Oggi il cosiddetto passante di Mestre è riconosciuto da tutti come la soluzione migliore che si poteva adottare per connettere il corridoio più importante dell’Europa del sud e la vecchia tangenziale di Mestre, ampliata a tre corsie si avvia ad essere una utile strada urbana a scorrimento veloce, ma ciò lo si attesta oggi a cose fatte. Non si è evitata la canea movimentista neppure in questo caso. Sempre per un discutibile silenzio preventivo.

Lo stesso dicasi per il contestato Ponte di Calatrava. Lasciamo perdere i costi e gli errori, sempre da repubblica delle banane, su cui gli oppositori si sono ovviamente attestati. Ma l’utilità indiscussa che solo oggi si comincia a intravvedere non ha avuto un rigo di spiegazione preventiva, né il disegno di città complessivo in cui si inseriva e che ora si comincia a capire è mai stato mostrato ad alcuno.

Ora è vero che con certa gente non si discute perché parte prevenuta. E’ probabile che, se anche in questi casi si fossero messe in atto tutte le strategie di trasparenza e tutti i passaggi della comunicazione e dell’informazione, avrebbero detto’picche’. Con questa pericolosa opinione trasversale che si oppone a prescindere il concetto del riconoscimento delle ragioni dell’altro non è contemplato. Ma quantomeno si sarebbero viste a tutto tondo le pretestuosità dei NO a tutto. Che invece acquistano credito perché la controparte politica e tecnica si nega o fa spallucce.

In Italia in definitiva tutto è sempre in discussione e nulla si fa mai o si fa male; perché danaro, chicchera e politica dequalificata creano un contesto più limaccioso e appiccicaticcio di una carta moschicida. Tutto ciò si può e si deve cambiare e lo si cambierà, ma per farlo bisogna sapere dove e come si annidano le mostruose resistenze.