L’indignarsi e l’indignazione sono stati d’animo, un sentire, un atteggiamento, una forma di esternazione ormai entrata nel ‘politicamente corretto’ e hanno surclassato ormai il vecchio, caro ‘scandalizzarsi’, di cui costituiscono un deciso scarto in avanti . ‘Politicamente corretto’ l’indignarsi, ma da parte di chi? Strano a dirsi, non tanto o non troppo da parte del variegato personale politico o meta politico che prolifica a tutti i livelli nel corpaccione dell’Italia nostra; personale politico che pure quando conviene la sa usare, ‘l’indignazione’, magari mandando avanti nelle interviste i sacerdoti indipendenti dell’intelligencija che su questo ci san fare ( Freccero, Settis, Erri De Luca – eh, ce ne sono – e Marco Revelli che sull’indignazione ha curato perfino un volumetto, addirittura una ‘Grammatica dell’Indignazione’ di autori vari, autori tutti, ben s’intende, del suo stampo). Eppure no: l’indignarsi nasce oggi soprattutto dal basso, come forma di riscatto degli anonimi, dei tanti che, forse frustrati dal contare troppo poco o, più verosimilmente, dal non avere la forza o la voglia di riuscire a contare, protestano, indignandosi; contro un fatto, una persona, un comportamento che ritengono abbia toccato il fondo dell’immoralità, fino allo sfregio, all’oltraggio. L’indignazione presume un colpevole, un oggetto preciso dell’indignazione, ma mica c’è sempre, magari. C’è un tornado? Ci si indigna a priori, anche se è difficile trovare il colpevole, che subito dopo però si trova facilmente. In chi? Nel governo, che un secondo dopo il tornado ( non un anno dopo ) non ha ancora dato tutti i soldi richiesti per i danni subiti.
Da questo punto di vista l’indignarsi è incollocabile politicamente tra destra centro e sinistra, è sentimento volatile, trasversale, guizza di qua e di là e non a caso è diventato ‘politicamente corretto’ e popolarissimo ai tempi dell’antipolitica e ai tempi dell’orgoglioso motto ‘all’elezioni non voto’ in cui ci è capitato di vivere. Tanto che a volte all’indignato sfuggono i contorni di ciò per cui è indignato. E’ un indignato a prescindere, arruolato in pianta stabile. Tutto il giorno va cercando di volta in volta l’oggetto dell’indignazione. E sistematicamente lo trova, si può star sicuri. Il campionario non manca certo e ha una scala di note che varia dal locale di strapaese all’universale (Una Pizzeria è chiusa inspiegabilmente al sabato? Ci si indigna, altro che, come per lo scioglimento dei ghiacciai). Non voglio qui narrare, nel dettaglio, del campionario che riguarda la città dove ho la buona, senza ironia, ventura di risiedere, Venezia; perché è fin troppo facile, in quanto rappresenta un contesto umano e sociale che sforna pretesti d’indignazione con cadenza oraria se non addirittura mezz’oraria. I giornali cittadini ci raccontano di indignazioni senza soluzione di continuità praticamente su tutto e per tutto l’anno, con liste d’attesa nella rubrica ‘lettere al direttore’. I social network rappresentano però la palestra più adatta dello sfogatoio indignato, che oggi prevale anche sull’ormai usurato insulto e sull’annuncio, con foto, della nascita del nipotino; social che qualche volta possono anche rivoltarsi contro, senza per altro riuscire a scalfire la pelle dura degli indignati quotidiani. Per esempio il nostro amico e collaboratore Emanuele Dal Carlo, che queste cose le sa fare e dire bene, in un suo post di qualche giorno fa in Face Book ironizzava su tale diffuso sport cittadino dell’indignazione, fingendosi reduce dall’estero o da chissà dove e, quasi in crisi d’astinenza, chiedendo al popolo del social quale fosse l’indignazione del menù del giorno che si era perso.
Grande, niente da dire.
Gustoso anche il fatto che la domanda di Emanuele sia stata da alcuni fraintesa e che subito, tra i molti che pur a denti stretti sono stati al suo gioco, due o tre intervenuti successivi al post, non capendo l’ironia, accecati dalla loro compulsiva esigenza d’indignazione, gli abbiano risposto a tono ( meglio, a ‘non’ a tono), snocciolando un rosario di temi da indignazione vera e immediata, pronto uso.
A volte, quando i fatti italiani sono l’oggetto, l’indignazione travalica i confini nazionali. Come Elton John che, preceduto come nei grandi concerti dall’apriconcerto Muccino, obiettivamente un minore, l’altro giorno si è indignato con il sindaco di Venezia Brugnaro. Sicuramente anche con qualche buona e sacrosanta ragione a suo favore, ma non è questo il punto. Si capisce allora che oggi questa è una predisposizione quasi planetaria E’ che, noi, in Italy la sappiamo interpretare bene, meglio di tutti gli altri.
Quando l’indignazione arriva al livello dei politici, i quali per stare dalla parte della gente, nobilmente, per spirito di servizio nei casi estremi se ne fanno carico, può succedere che, metti caso in un talk show, un politico s’indigni con il politico di fronte per un fatto e che l’altro di conseguenza s’indigni dell’indignazione del primo. Entrambi, mentre parla l’altro, saranno ripresi dalla telecamera a scuotere lentamente, schifati, la testa, leggermente rivolta verso lo sterno, impostando la bocca piegandola profondamente agli angoli, come a mezzaluna rovesciata verso il basso e con il labbro superiore verso la punta del naso e mento raggrinzato, un po’ fremente. L’indignazione fa audience. Non so perché, ma quando penso a questa icona televisiva dell’indignato mi viene in mente Salvini. Ma non è il solo. Ripeto la trasversalità è tra la gente e tra i politici, al governo e all’opposizione.
Devo allora dire, lo si sarà capito, che questo ‘politicamente corretto’ non mi è mai piaciuto. Mi dispiace anche che in Spagna ci sia stato anni fa un movimento politico, di cui so poco e che perciò non voglio minimamente giudicare, che dall’indignazione aveva attinto il nome. Perché se il nome avesse corrisposto all’azione politica ( meglio, alla non-azione politica) ci risiamo; e se non avesse corrisposto era per prima cosa fuorviante nel farsi correttamente percepire e si erano scelti un nome, direi, sbagliato, quantomeno inappropriato. Ora, sempre in Spagna, c’ è un altro movimento che si chiama ‘Podemos’, non so se è l’evoluzione del precedente, ma nominalmente almeno è un bel passo in avanti e so che da quelle parti poi spopola: qualcosa proporranno, penso, oltre all’indignarsi.
Non mi è mai piaciuto, questo ‘politicamente corretto, per almeno due ragioni.
La prima è che l’indignato è fondamentalmente un moralista che pensa di tirarsi fuori e di giudicare immoralissimo un fatto o una persona dall’alto della sua morale certa e in questo gli intellettuali sono più bravi della gente comune. Ovviamente lui, intellettuale o persona comune che sia, non si mette in discussione. Lui è depositario del bene e del giusto, praticamente è Dio. Lui il brano evangelico della lapidazione e dell’invito del Maestro ai privi di peccato a scagliare una prima pietra lo interpreta dalla parte di chi appunto non ha sicuramente mai peccato e le pietre le scaglia eccome; anche se a ben vedere l’indignazione è il sentimento che precede lo scagliare la pietra che ne rappresenta solo un possibile esito; sempre tuttavia un po’ scomodo perché comunque prevede un abbozzo di azione che l’indignato standard non sempre vuole scomodarsi a compiere: lui s’indigna e tanto basta ( la pietra bisogna raccoglierla, tirarla, hai voglia, troppa fatica).
Naturalmente intendiamoci questo non è un invito da parte mia a non guardare il male, a far finta che non ci sia e a non denunciare pubblicamente quando c’è. E’ il ‘come’ lo si fa che fa la differenza. E vengo alla seconda ragione.
Non mi piace e vorrei essere fuori da questo coro e provare ad essere ‘politicamente un pò scorretto’ in questo senso. Ogni fatto che accade, per una catena più o meno lunga di fatti che precedono, ha sempre anche in chi giudica una piccola o grande parte di correità. Chi s’indigna è, senza neppure accorgersi, spesso corrèo del fatto che suscita l’indignazione, ne dovrebbe portare un po’ il carico e invece vuole scaricarselo. Una denuncia seria, puntuale e precisa che però al contrario implicitamente ammetta questa propria responsabilità, seppure remota e indiretta, nell’aver causato il fatto grave che si vuole denunciare, dovrebbe avvenire con l’umiltà di evitare le bocche schifate dall’indignazione; ma con la fermezza data dall’intenzione di offrire un’alternativa credibile e possibile al fatto tanto deprecato, che di solito è avvenuto perché ha trovato la strada spianata dall’ignavia dei molti, di solito anche degli accigliati indignati. Perché il giochino dell’indignazione senza caricarsi della proposta costruttiva che sani il presunto fatto immorale è un giochino troppo facile e comodo.
All’indignazione preferisco una dote morale che, riesumando una vecchia qualità, tornerei a chiamare ‘onestà intellettuale’, dal momento che sta di casa appunto nel cervello più che nella pancia, foriera questa dei peggiori istinti da quando esiste l’homo sapiens sapiens, tutte le volte, e non son poche, in cui si dimentica di esserlo.
Detto questo, dal momento che so di essermi talvolta indignato senza accorgermi, se mi capitasse ancora prego gli amici e i lettori di farmelo notare senza farsi troppi scrupoli. Sono peccatore anch’io.

Carlo Rubini (Venezia 1952) è stato docente di geografia a Venezia presso l’istituto superiore Algarotti fino al congedo nel 2016. Giornalista Pubblicista, iscritto all’albo regionale del Veneto e scrittore di saggi geografici, ambientali e di cultura del territorio, è Direttore Responsabile anche della rivista Trimestrale Esodo.