La mia generazione è quella dei nati tra gli anni Cinquanta e i Sessanta del Novecento. Hanno assistito, costoro (o sono stati travolti?) da un cambiamento epocale nei rapporti tra i cosiddetti sessi “opposti” (chissà perché poi “opposti”, l’un contro l’altro armati…).
A partire dagli anni del boom economico, l’emancipazione femminile ha fatto passi da gigante. Almeno sulla carta. Sulla carta dei diritti (e dei doveri?) ci sono stati da allora cambiamenti considerevoli. Anche se poi nei fatti è da vedere, se certi “nuovi” diritti, come quello alla maternità, siano veramente rispettati. Si sa che non è sempre così.
Ma l’emancipazione femminile ha da allora anche imboccato un’altra strada di una malintesa emancipazione. Le donne hanno preso a scimmiottare i maschi, credendo in tal modo di “liberarsi” dalla loro condizione di minorità. Hanno scordato, così, per esempio, l’antica sapienza domestica e familiare delle loro mamme e delle loro nonne. Una sapienza che io oggi vagheggio venga riproposta nelle scuole.
Qualcuno ricorderà forse la materia denominata “economia domestica”. Qualcosa del genere io la riproporrei per tutti (maschi e femmine): un bagaglio di sapere pratico e apparentemente “basso” (come si lava, come si cuce, come si stira, come si tiene in ordine una casa, come si cucina, come si risparmia, come si pagano le bollette…). Ci sono giovani coppie, oggi, che quando vanno a vivere fuori della casa dei genitori non sanno da che parte cominciare. Non gliel’hanno insegnato i loro genitori (della mia generazione) perché non lo sapevano neanche loro.
Le donne inoltre hanno preso a scimmiottare i maschi anche amoreggiando a destra e a manca. Per essere libere, per fare esperienze. Va benissimo: non ne faccio una questione morale. Dico solo che non è esattamente nelle corde delle donne di comportarsi così, come dei farfalloni amorosi. La cultura e i comportamenti evolvono in fretta. Anche la natura si trasforma (è la cosiddetta evoluzione naturale, no?), ma lo fa in tempi talmente lunghi e lenti che è come se stesse ferma, rispetto all’evoluzione dei costumi. Ma se i costumi contraddicono le vocazioni naturali dei sessi, prima o poi i nodi vengono al pettine.
Ci sono poi donne in carriera che hanno perduto il treno della loro aspirazione naturale alla maternità. Non è qui in discussione la facoltà delle donne di fare carriera – sia chiaro – d’inseguire le proprie vocazioni spirituali, i propri sogni, le proprie legittime aspirazioni. Né la loro libertà di non sposarsi, di non accoppiarsi, di non avere figli (non vorrei essere frainteso, ma lo sarò). Semmai è in discussione il fatto che ciò non dovrebbe comportare la rinuncia a quell’altra vocazione basica femminile: la maternità, la cura della prole.
Molte donne si sono così ritrovate, volendo scimmiottare comportamenti e atteggiamenti maschili, con grosse frustrazioni. Si sono trovate scisse e lacerate tra le legittime aspirazioni al lavoro, alla libertà personale, al successo e le loro profonde aspirazioni naturali.
Certo, non c’è bisogno di essere una donna per saper cucinare (figurarsi), ma nemmeno per saper stirare o lavare la casa e perfino per cucire. Sono mere abilità manuali che chiunque (perfino un uomo…) può eseguire egregiamente. Ed è giusto che lo faccia anche un uomo, va da sé, quando serve, quando entrambi i coniugi lavorano fuori di casa. E che cambi anche i pannolini ai neonati. Non è così difficile.
Il punto però non è questo. E’ che, di conserva, si è andata determinando una certa femminilizzazione degli atteggiamenti maschili. Ah, le donne sono estasiate da questi uomini che sanno riconoscere in sé ed esprimere la loro “parte femminile” (altro tormentone della nostra epoca). E così li vogliono gentili, sensibili, emotivi, magari anche un po’ remissivi e sempre consenzienti. Non li vogliono “machi”. Salvo poi lamentarsi che i loro uomini non siano più “uomini”: non sappiano offrire loro quel senso di protezione, quelle rassicurazioni, quella capacità di agire, intraprendere, decidere che esse vorrebbero, eccome. Ah, che pasticcio!
E gli uomini, storditi e frastornati, si sono ritrovati a svolgere un ruolo in cui avvertono di non essere a proprio agio. D’altro canto, non possono certo retrocedere agli atteggiamenti patriarcali e impositivi dei loro padri (sarebbe politicamente scorretto), ma non stanno bene nemmeno nei nuovi panni: però si femminilizzano e alla fine… si depilano perfino (ora va tanto di moda), come se un petto villoso non fosse un naturale carattere sessuale secondario della specie umana maschile. Adesso manca solo che le donne trovino il modo di farsi crescere i baffi e poi avremo fatto l’en plein. Lo so, questa è una battuta di cui si compiacciono i vetero maschilisti. Correrò il rischio di essere inserito in quel novero.

Nato a Napoli nel 1953, vive e lavora da quarant’anni a Milano. Insegna lettere nella scuola superiore. Ha collaborato con agenzie pubblicitarie, con società di ricerche di mercato e con numerose testate specializzate in management, packaging, marketing, edilizia, arredamento. Ha pubblicato con la Mondadori alcuni testi scolastici e di recente una raccolta di brevi saggi di costume dal titolo “La bussola del dubbio”.