Qualche considerazione in ordine sparso sul famigerato “cubo” da pochi giorni apparso in tutto il suo splendore a Piazzale Roma.
- le reazioni (per la maggior parte negative) sono state quasi esclusivamente centrate sull’estetica dell’opera e non contestano in sé il fatto che si tratti di una costruzione dichiaratamente moderna. Nessuna (o poca) nostalgia per falsi storici tipo Palazzo Franchetti. È un fatto da registrare con soddisfazione, se pensiamo che solo pochi mesi fa è stato scacciato con ignominia il ragazzo con la rana colpevole di aver sloggiato un… lampione da Punta della Dogana. Insomma, a Venezia, regno del “dov’era, com’era”, dove non si è per esempio colta l’occasione di fare un Ponte dell’Accademia nuovo di zecca perché tutti lo volevano rifatto in legno, è già un progresso;
- assieme alle rimostranze, anche giustificate, non ci siamo fatti mancare eccessi di isterismo e di dietrologia. E via con la denuncia apocalittica della fine dell’identità di Venezia, della città dannata e venduta, di interessi occulti, del business malato, insomma tutto il repertorio classico. In questo caso ogni dietrologia lascia il tempo che trova: le numerose ricostruzioni riportate dalla stampa dimostrano che tutta la vicenda è nata e si è sviluppata molti anni fa, in termini perfettamente legali e certo non c’entra nulla l’asserito, drammatico declino degli ultimi anni. Vagamente isterica anche la reazione sulla qualità dell’opera (s’intende: certamente discutibile), quasi che siccome siamo a Venezia qualsiasi opera moderna debba essere per forza degna di un libro di storia dell’arte. Un po’ di umiltà non guasterebbe;
- stranamente, mi permetto un po’ di ironia, non è ancora arrivata la lettera dell’UNESCO che radia Venezia dai siti riconosciuti patrimonio dell’umanità. Ricordate le accorate denuncie dei vari tragediografi in servizio permanente all’epoca del Palais Lumière? Per una costruzione lontana una decina di chilometri, che si intravedeva nello skyline, era asseritamente certa la condanna senza appello dell’UNESCO. Mi chiedo come mai, per po’ po’ di cubo in Venezia nessuno (men che meno l’UNESCO) abbia tirato in ballo la questione. A riprova, se mai ce ne fosse stato bisogno, che il rischio tanto sbandierato da Italia Nostra e compagnia era una bufala colossale;
- Stupisce peraltro lo stupore delle suddette sentinelle della purezza della venezianità che, dopo anni ed anni di cantiere, ora e solo ora che sono stati tolti i veli alla struttura, gridano all’orrore: forse che gli atti autorizzativi di Comune, Salvaguardia, Soprintendenza non erano pubblici e noti? Non avrebbero dovuto, eventualmente, intervenire, denunciare, indignarsi, ecc. prima? Macché: apprendiamo per esempio che la soave Ilaria Borletti Buitoni, Sottosegretario alla Cultura, quella riconoscibile per andarsene in giro con un vero e proprio abuso edilizio in testa (la sua terrificante messa in piega), si dice orripilata e si riserva di “studiare le carte”. Adesso, a latte versato. Appunto.
Circa l’aspetto estetico, personalmente trovo il cubo bruttino (non orrendo). È indubbiamente un pugno su un occhio l’accostamento con la preesistente struttura dell’Hotel S. Chiara (architettura peraltro mediocre), aggravata dal fatto che si affaccia sul Canal Grande. Ma la mia umilissima opinione (di non architetto, critico o storico dell’arte) vale il tempo che trova. Illustri commentatori (per esempio Philippe D’Averio) lo hanno promosso.
Una osservazione interessante invece è il fatto che (per testimonianza convergente sia degli architetti che hanno firmato l’opera sia di Cacciari) il progetto originale era ben diverso, con una facciata ricoperta di piastrelle vetrate. La versione attuale, così essenziale, così minimalista, così algida, così chiaramente ispirata allo stile razionalista degli anni 30-40 è stata voluta e pretesa dalla Soprintendenza. È la Soprintendenza quindi il vero autore e responsabile del manufatto. E non è evidentemente un caso che lo stesso minimalismo, lo stesso disadorno monocromatismo, la stessa fredda geometria siano la cifra stilistica della pensilina del tram e soprattutto della Cittadella della Giustizia (sicuramente più brutta del cubo). Unica eccezione recente a quanto sopra, il ponte di Calatrava. E non casualmente il Ponte ha messo d’accordo tutti (fatto salvo per gli irriducibili) dal punto di vista estetico. Comunque suscitando una marea di critiche (costoso, pericoloso, inutile, con l’orrido ovetto) ma con una generale convergenza sul fatto che il ponte in sé sia bellissimo.
Siamo quindi di fronte ad una precisa scelta di indirizzo della Soprintendenza che evidentemente ritiene che l’unico contemporaneo possibile in centro storico (per lo meno a Piazzale Roma) sia questo minimalismo esasperato. Forse con l’intento di essere il meno possibile invasivo? Se così fosse, va detto che l’effetto è esattamente il contrario.
Ne riparleremo alla prossima occasione. Per ora, speriamo di abituarci con il tempo al cubo.

Nato a Venezia, vi ha sempre risieduto. Sposato con una veneziana, ha due figli gemelli. Ingegnere elettrotecnico, ha lavorato all’Enel dal 1987 al 2022, è stato Responsabile della distribuzione elettrica della Zona di Venezia e poi ha svolto attività di International Business Development Manager, lavoro che lo ha portato a passare molto tempo all’estero. È stato presidente del Comitato Venezia Città Metropolitana, esponente di Venezia Una&Unica. È in pensione dal 2022