E così ci siamo: la città metropolitana, in qualche modo, è partita. Entusiasmo in giro ne percepisco poco, critiche tante. A prescindere.
Per molti si tratta dell’ennesimo carrozzone burocratico, la via d’uscita per chi aveva promesso di abolire le province e poi, in qualche modo, ha cercato una soluzione qualsiasi. Il solito compromesso al ribasso.
Non ho la sfera di cristallo e non so divinare il futuro. Se la città metropolitana funzionerà, sarà merito di chi in prima persona è chiamato a darle forma. Altrimenti ne porterà le conseguenze. Quindi dobbiamo aspettare. “Dai frutti si giudica l’albero”.
Il passato, però, potrebbe forse venirci in soccorso per capire, intanto, se si tratti o meno del parto di una fantasia sovraeccitata oppure di una buona idea per partire. Nel caso degli uomini, il passato si chiama Storia. Proviamo a darle un’occhiata…
Venezia ha dato vita a uno stato, la Repubblica Serenissima, indipendente per più di dieci secoli. I conteggi variano a seconda delle opinioni, ma qua non ci interessa granché una precisione assoluta. Diciamo solo che non ha uguali in Europa. Uno stato potente perché ricco. La sua sicurezza era garantita, tra l’altro, da una flotta efficiente, numerosa, ben organizzata e… numerosa. Oltretutto a lungo composta in buona parte da cittadini. Dove trovava tanta gente?
La domanda non è per niente oziosa. Insomma, ogni giorno alziamo grida di dolore perché l’ex Regina dell’Adriatico si spopola. Diminuisco gli abitanti del centro storico, delle isole, adesso persino quelli di Mestre e Marghera, uniti in un unico comune soltanto dall’Italia fascista. Evidentemente il problema del numero esiste. Facciamo due conti.
Quanti erano i veneziani? E poi… chi erano?
Venezia edifica uno stato prospero e potente, innanzitutto, perché è una grande città. Certo, niente in confronto alle realtà attuali ma, rapportata alle dimensioni di allora, per l’intero MedioEvo è una delle maggiori realtà urbane d’Europa. Mantiene una buona posizione anche durante il Rinascimento e inizia la discesa, lungo la scala della dimensione, solo nell’ultima fase dell’Età Moderna. La Venezia contemporanea, comunque, conserva una più che discreta posizione, in Italia e in Europa, ancora nell’Ottocento. Soprattutto, resta attrattiva per un sacco di immigrati.
In un precedente articolo avevo, provocatoriamente, chiesto chi mai fossero i veneziani. Concludevo che di “etnici originari”, ormai, non ce ne dovrebbero essere più da un pezzo. Forse qualche isolato caso si trova, per carità, ma il loro numero esiguo non modificava affatto la realtà: i veneziani di oggi sono per la massima parte discendenti di immigrati. Quando non direttamente figli di o immigrati loro stessi. Perché? Per la banale ragione che è sempre stato così. Dal Veneto, dal Friuli, dalla Lombardia, quella “veneta” come Brescia e Bergamo in particolare, ma un po’ da tutta Italia, Mezzogiorno e Isole comprese, si sono riversati in laguna lungo l’intero Ottocento e un pezzo di Novecento un bel po’ di persone. In cerca di lavoro. Di nuove opportunità. Di una via di fuga da miseria e assenza di prospettive.
La città stessa è nata così, ovviamente. In questo modo ha costruito la sua libertà come Repubblica. Grazie ai nuovi, promossi cittadini, che arrivavano di continuo ha riempito i vuoti aperti da epidemie e fatica, dal sangue versato sui ponti delle galee, nel fango di Chioggia e del Polesine, sugli spalti di Candia o di Clissa: come avrebbe potuto altrimenti?
I “nuovi”, gli immigrati, hanno egregiamente sostituito i “vecchi” e così la città si è mantenuta ed è cresciuta. Se oggi abbiamo tra le mani un capolavoro assoluto lo dobbiamo alla capacità del “borgo lagunare” di attirare le menti più brillanti e volenterose del loro tempo, di integrarle e di esaltarne il talento: Jacopo da Bassano, Cima da Conegliano, Zorzi da Castelfranco, Tiziano da Pieve di Cadore, Jacopo Tatti da Firenze, l’Aliense da Milo nelle Cicladi, Aldo Manuzio da Bassiano, Andrea Palladio da Padova… mi fermo perché l’elenco sarebbe sterminato.
Trovavano un ambiente favorevole, grandi risorse, una classe dirigente di alto spessore culturale prima che politico e una realtà di grandi dimensioni, porta sul mondo e ponte tra mondi: cioè una Città Metropolitana. Forse qualcosa di più, una Metropoli cosmopolita e in rapporto con tutti, ovunque.
Se la Città Metropolitana di oggi sapesse diventare qualcosa del genere, anche solo in sedicesimo, allora davvero assisteremo a un nuovo Rinascimento di Venezia. Se fallisce, diventerà Gardaland. Speriamo ce la faccia. Io me l’auguro. Comunque sia, è una grande sfida e non vedo alcun compromesso al ribasso. In fondo vale sempre la premessa: meriti e colpe sono degli individui. Dai frutti giudicheremo.

Federico Moro vive e lavora a Venezia. Di formazione classica e storica, intervalla ricerca e scrittura letteraria, saggistica, teatrale. È membro dell’Associazione Italiana Cultura Classica e della Società Italiana di Storia Militare.
Ha pubblicato saggi, romanzi, racconti, poesie e testi teatrali.