Venezia, piazza San Marco, martedì 24 novembre 2015: 7.000 persone assistono al funerale di Valeria Solesin, morta a Parigi nell’attentato terroristico al teatro Bataclan.
Qualcuno di meno aveva partecipato alla commemorazione serale della vittima nella stessa piazza, il mercoledì precedente. In silenzio e deponendo una candela accesa sui masegni e attorno a uno dei pili portabandiera.
Da tempo sul web, in particolare ma non solo via facebook, si assiste a un flusso continuo di commenti e prese di posizione. Su questo come su mille altri argomenti. È la voce dei singoli che diventa onda di marea, a volte violenta e schiumante rabbia a lungo repressa, delle altre sommessa e appena sussurrata. Raffiche di parole che cercano condivisione o puntano a tracciare linee di confine: o di qua o di là, con me con like o contro di me. La febbre di esprimersi, di parlare, di farsi sentire brucia sulla Rete. Fatti ed emozioni si mescolano, talvolta generando mostri ma, spesso, anche dibattiti profondi e sentiti.
Intanto, le forme tradizionali della riflessione personale e collettiva mutano assieme ai “luoghi” dove questa avviene. La Rete ha indubbiamente cambiato le coordinate ma nulla di tutto ciò sarebbe mai accaduto se, alla base, non ci fosse la spinta dei singoli.
Già, perché dopo tanti anni passati a parlare di “riflusso nel privato” prima, di “edonismo individuale”, poi, di “fine della storia”, infine, in quanto la liberal-democrazia del mercato globale avrebbe azzerato ogni possibile dialettica e quindi anche le stesse ideologie, insomma dopo tutto questo, con sorpresa e, aggiungo, soddisfazione mia personale, mi pare di scoprire il ritorno di un vecchio amico: l’impegno politico.
La folla di post, like, condivisioni, commenti e via dicendo è solo la parte emergente di una realtà nuova, che si misura ogni giorno nelle vie e nelle piazze, che si respira, ovunque: la voglia di partecipare, di esserci, di tornare protagonisti. Della propria vita personale, certo, ma anche del ruolo sociale del singolo. Quindi della politica.
Non eravamo finiti nel buco nero del disimpegno e della fuga nel personale? Non sono in agonia tutte le forme organizzate della partecipazione? A cominciare dal voto ma, come diretta conseguenza, pure l’attivismo all’interno di partiti, sindacati, associazioni varie?
Mi correggo: mai l’associazionismo, inteso come gruppi di persone che si uniscono per perseguire un qualche tipo di scopo, culturale o sociale, ha goduto di tanta salute nel nostro paese. Esistono associazione di qualunque tipo e con ogni finalità. Ci sono dappertutto. Hanno spesso articolazioni complesse, penetrano nei gangli più remoti della vita collettiva.
Pertanto, a essere moribondi sono soprattutto le due forme tradizionali del dibattito e dell’azione collettiva organizzata: partiti e sindacati. Tutti i partiti e ogni sindacato. Né s’intravvede per il momento all’orizzonte una sola formazione in discreta salute. Neppure il Movimento 5 Stelle. In definitiva è una sorta di loggia semisegreta di poche migliaia d’iscritti con riti oscuri quanto l’organizzazione. Ha molto successo nelle intenzioni di voto, cosa che mette il Movimento in difficoltà persino nel reclutare gli aspiranti candidati. Il caso delle prossime amministrative di Roma è esemplare in materia.
Quanto agli altri, la situazione è persino drammatica. Si sta sgretolando anche il più solido tra tutti i partiti: il Pd ha già annunciato una drastica riduzione di circoli a seguito del crollo di iscritti.
E la partecipazione di cui parlo, allora? Ha preso altre strade, appunto. La voglia c’è, l’impegno è tornato, o sta tornando, e grazie alla Rete trova modo di farsi sentire ma ancora non sfonda a livello politico. L’incapacità dei partiti, per esempio, d’intercettare “l’onda di marea” di cui parlavo è evidente. Eppure è vitale che l’operazione riesca: non tanto perché sia bene che la forma-partito sopravviva in sé, la sua esistenza non rappresenta un valore imprescindibile, quanto per sfruttare al meglio il flusso emozionale e intellettivo al quale accennavo.
Come fare?
Il Pd, attraverso i forum in Rete su vari argomenti ai quali si può partecipare, sta tentando qualche esperimento in materia. Anche il Movimento 5 Stelle sembrava avviato su questa strada, ma si è ben presto fermato. Gli altri sono non-pervenuti. Serve coraggio, invece. Spalancare le porte dei “sepolcri imbiancati” di circoli e sezioni varie al vento della società. Attivare tutte le modalità possibili di partecipazione diretta, personale e facilitata, tanto nella fase di dibattito quanto a quella successiva, di candidatura e selezione delle stesse.
Non viviamo in una società sempre “connessa”? Bisogna sfruttarne le potenzialità per eliminare le mediazioni farraginose, per permettere alle idee di circolare e confrontarsi. E con esse le persone. Alla fine del percorso, c’è una qualche forma di “democrazia diretta”, di partecipazione senza filtri, d’impegno individuale che si trasforma in agire collettivo consapevole.
La ritengo una strada senza alternative. Noi siamo sul crinale di due mondi: abbiamo assistito, in pochissimo tempo, a una trasformazione rivoluzionaria del nostro modo di vivere, comunicare, stare insieme. Ecco il concetto di riferimento: “trasformazione rivoluzionaria”. O sarà nel senso della capacità di dare voce e sostanza partecipativa all’ “onda di marea” oppure, come per esempio nell’89 francese, le nuove forme di aggregazione, allora i club oggi il flusso liquido della voglia di partecipare, troverà comunque la sua strada: e allora sarà di nuovo Rivoluzione. Con tutto quello che ne consegue.
Caro lettore, tu che ne pensi?

Federico Moro vive e lavora a Venezia. Di formazione classica e storica, intervalla ricerca e scrittura letteraria, saggistica, teatrale. È membro dell’Associazione Italiana Cultura Classica e della Società Italiana di Storia Militare.
Ha pubblicato saggi, romanzi, racconti, poesie e testi teatrali.