By

In un recente articolo ho attribuito al monotesimo l’origine di un fenomeno che ha straziato la Storia: l’escluvismo religioso, condensato dall’espressione biblica “Io sono un Dio geloso”. Una pretesa, giustificata dalla convinzione di possedere la verità ultima, che diventa il principale motore di stragi e genocidi sul pianeta Terra.

Molte le contestazioni. Si possono raggruppare in due filoni principali.

Il primo: le ideologie laiche non sono mai state da meno. Riporto un elenco casuale. Giacobinismo, comunismo, nazismo, nazionalismo in tutte le salse, liberalismo sotto forma di economia di mercato globalizzata, giusto per citarne qualcuna.

Il secondo: grandi sono i meriti delle organizzazioni religiose, quindi non solo della Chiesa e senza limitarsi all’Occidente. In particolare, l’assistenza a malati e bisognosi, ma anche conservazione e trasmissione di un patrimonio culturale altrimenti destinato a essere disperso.

Lo dico subito. Difficile la contabilità culturale. Sono di più i salvataggi o le distruzioni? Quanto trasmesso o l’omesso? Di fatto, mi concentro è chiaro sull’Occidente cristiano, l’annientamento anche fisico dell’eredità pagana è stato sistematico. Qualcosa si è in qualche modo riciclato, ma una larga fetta di quel mondo è stata spazzata via. Perché in contrasto con l’unica verità ammessa. Se allargo l’orizzonte all’Islam di oggi, poi, non credo serva argomentare nulla.

Di sicuro ammirevole, invece, l’opera assistenziale svolta in perfetta solitudine per secoli. Se l’organizzazione religiosa in genere si è conquistata, mantenendolo a lungo, il rispetto di buona parte della popolazione, non solo e non tanto in Italia, è in virtù di tale servizio quotidiano a favore di singoli e comunità. Nulla da eccepire.

Sull’altro piatto della bilancia, però, pesano i genocidi in nome della fede. Questi sono stati innumerevoli, ubiqui, prolungati. Interi popoli sono finiti annientati. Certo, all’interno delle stesse organizzazioni religiose si sono spesso trovati gli anticorpi. Resta la domanda: San Benedetto, San Francesco, San Domenico assolvono Torquemada ed epigoni? Ognuno darà la sua risposta personale ma la mia era nell’articolo, e rimane adesso, un’altra.

Per una volta non ho avuto un approccio da storico. Dal suo punto di vista, della Storia, la domanda non si pone nemmeno. Obiettivo dello storico è verificare come sono andati i fatti, il suo giudizio non è morale ma, nel caso, di efficacia: sono state le scelte compiute coerenti con le mete da raggiungere? I risultati sono stati proporzionati a costi e rischi?

Ho abbandonato tale impostazione e per una volta mi sono posto la domanda: quale la radice di stragi e genocidi, valutati non come puri eventi ma oggetto di condanna? La risposta che mi sono dato è: la pretesa di possedere la verità. Non una verità ma l’unica, l’autentica, la sola. In particolare quando questa diventa la soglia da attraversare per arrivare… in Paradiso!

Chi lo crede mostra un’inevitabile tendenza, quasi una fatale attrazione, a imporre la propria visione del mondo. Con qualunque mezzo perché il fine lo giustifica. Niente di meno che la felicità qui e ora quale premessa per quella eterna.

Nessuno più di una religione monoteista porta tale germe dentro di sé. Aggiungerei la religione in generale, come sembrano dimostrare i fatti di questi giorni in India con gli induisti, politeisti, alla caccia dei mussulmani. Perché possiedono la verità.

Sotto tale aspetto, però, non esiste differenza sostanziale tra religione e/o ideologia. Una religione è un’ideologia. Non sempre il contrario. Per fortuna. I totalitarismi, però, lo sono. Il partito unico come chiesa dei fedeli, il capo quale gran sacerdote, un corpo di testi sacri a disposizione e così via. Non pensò Robespierre d’introdurre il culto dell’Essere Supremo? Hitler del superuomo? Stalin quello della personalità del capo? Anche il libero mercato può diventare una divinità, specie se ad amministralo sono gli gnomi della finanza globalizzata.

Nessuna differenza, dunque, tra le religioni del libro e le ideologie del libro o dei libri. Tutte se ne stanno appollaiate sui loro testi scritti, da interpretare e commentare ma mai da mettere in discussione davvero, con qualche interprete autorizzato che ne distilla il sapere segreto. Condannate le une e le altre a espandersi o a morire. Perché la logica della verità assoluta è una sola: il dominio. Non può tollerare la coesistenza con nessun’altra. Al punto da postulare la differenza dei riti nell’unicità della verità, come fece nel Cinquecento Nicolò Cusano, teologo e cardinale di Sacra Romana Chiesa, nel tentativo di armonizzare un’evidente contraddizione della verità: la coesistenza di sue versioni contemporanee e concorrenti. O si risolve tutto con la strage oppure ci si inventa qualche artificio dialettico.

Non era stata certo la via dei filosofi, tutta costellata di domande dalle risposte molteplici. Ognuna delle quali poneva altri dubbi e costringeva a ulteriori indagini. Un percorso senza fine, perché il continuo rinnovarsi della realtà costringeva a interrogarsi e a cercare. Senza fine.

A ben vedere, tra quelle contemporanee, esisterebbe una corrente di pensiero con una simile impostazione: l’anarchia. Figlia del lato migliore del Secolo dei Lumi e della rivoluzione di Francia, si sviluppa in modo irruento nel corso dell’Ottocento, dando vita ai mille rivoli di una realtà quanto mai ricca e variegata. Ci inoltriamo però in un campo diverso, sul quale, se sarà possibile, tornerò prossimamente.