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L’Unione Europea potrebbe subire un forte arretramento se uno dei suoi simboli, il trattato di Shengen, che assicura la libera circolazione delle persone all’interno dello spazio comunitario, venisse effettivamente sospeso o fortemente limitato a seguito dei fatti di Parigi.

Più nello specifico, vale la pena ricordare come lo spazio Schengen sia oggi composto da 26 paesi europei, di cui 22 membri dell’Unione Europea.

Dei 28, ne fanno parte 22 a eccezione di Gran Bretagna e Irlanda (opt-out), Cipro, Croazia, Bulgaria e Romania per i quali c’è il via libera della Commissione ma il veto di Germania, Olanda e Finlandia per non aver ancora attuato tutti gli accorgimenti tecnici richiesti in pratica.

Vi rientrano poi Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera.

Dal 1995 (per l’Italia dal 1997) sono stati quindi aboliti i controlli sistematici alle frontiere interne dei paesi aderenti (restano possibili controlli a campione) mentre sono obbligatori i controlli dei passaporti alle frontiere esterne.

La peculiarità di questo trattato che, come detto, assicura ai cittadini comunitari la possibilità di muoversi come se si stessero muovendo all’interno di un solo stato è oggi messa in discussione a seguito della strage del 13 novembre.

Il ministro degli Esteri olandese, Bert Koenders, ha confermato ai giornali del suo paese di avere intavolato trattative per far saltare gli accordi di Schengen.

E’ evidente che la gravità di quanto accaduto in Francia, sta portando molta confusione all’interno dell’Unione Europea se è vero come la base della proposta olandese vorrebbe limitare la libera circolazione ai paesi che, in questi anni, hanno imparato a ritenersi come duri e puri: Olanda, Germania, Belgio, Lussemburgo e Austria facendo così riemergere il pericoloso partito dell’Europa del Nord.

Questo tipo di approccio alla soluzione di problemi europei deve essere combattuto.

E’ invece giusto che la Commissione Europea, entro la fine dell’anno, presenti come annunciato una proposta di riforma del codice delle frontiere per rendere possibili i controlli coordinati sui cittadini europei che attraversano i confini esterni, in entrata o in uscita, migliorando ad esempio il già esistente Sistema Sis (Sistema di informazione Schenghen).

Ciò che invece nessun atto terroristico potrà indurre a modificare e che non a torto in questi giorni fa parlare di Generazione Bataclan è la voglia dei giovani europei di vivere da europei studiando e /o lavorando nello stesso paese: l’Europa.

Secondo il direttore dell’agenzia italiana Erasmus, Flaminio Galli, questo dipende dal desiderio di mettersi in gioco e dalla voglia di conoscere realtà diverse.

Buona parte di questo successo concreto è dovuto proprio al programma Erasmus, nato nel 1987 e che oggi ha visto partire in Europa 3 milioni e mezzo di studenti.

Secondo gli ultimi dati pubblicati saranno 24.214 gli studenti pronti a partire nei prossimi mesi e 2970 saranno invece i docenti interessati da questi progetti.

L’Italia in questo quadro, si colloca come uno dei paesi che attrae maggiormente mentre Spagna, Francia Germania e Regno Unito restano comunque tra i paesi preferiti di chi vuole andare per un periodo a studiare altrove.

Questo progetto, fuori da qualsiasi retorica europeista, rappresenta un grande valore aggiunto in termini sociali prima che strettamente universitari e in ogni caso, dover insegnare a studenti provenienti da altri paesi spinge i professori ad aggiornarsi nel tentativo di rendere i propri corsi più interessanti, innovativi e in certi casi multilingua così favorendo meritocrazia e sano spirito competitivo.

Dall’università il discorso si estende poi anche al lavoro visto che esiste un programma come l’Erasmus Placement che permette a laureandi di svolgere un tirocinio lavorativo in aziende europee, stimolando l’apertura alla contaminazione delle diversità nel campo del lavoro senza nessun tipo di paura o diffidenza.

La voglia di queste generazioni di fare gruppo, di sperimentare una sana convivenza, di imparare gli uni dagli altri è una delle forme più evidenti dell’Unione Europea di oggi.

Di più, proprio questo entusiasmo è uno dei motori dell’Unione Europea e non sarà certo una notte, per quanto tragica e lugubre, a spegnere la forza di questo motore il cui retroterra non è stato a ragione costituito dal carattere identitario della religione ma dal desiderio di libertà uguaglianza e fraternità che oggi come ieri (1951 è l’anno del Trattato istitutivo della CECA di Parigi) sono i valori a cui ispirare il cammino dell’integrazione europea senza se e senza ma.