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Ci sono modi e modi di difendere la Costituzione. Personalmente, leggendola e rileggendola, l’ho sempre considerata una carta di grande valenza politica, dal momento che non si limita a fornire solo una sequenza di regole e procedure, ma fissa obiettivi sociali in gran quantità. Sono arrivato persino a ritenerla un manifesto politico che un partito che si dice Democratico dovrebbe assumere per intero come carta della propria identità politica senza la necessità di continuare a definirsi di sinistra, a meno che non si sostenga, cosa non impossibile che tutto quel testo per intero è ‘cosa’ di sinistra. Questione annosa questa ( sul cos’è essere ‘di sinistra’ ) che è bene non riaprire, ma che già per quanto appena detto non è una oziosa querelle nominale o lessicale perché condiziona molto, anche se forse meno del passato, le scelte, gli schieramenti e i voti di schieramento.

Detto questo è però altrettanto vero che un testo base su cui fondare i diritti di cittadinanza e la tutela della democrazia per essere credibile e realmente applicabile deve avere il consenso continuo degli individui che generazione dopo generazione diventano nuovi cittadini; inoltre deve poter essere adeguato continuamente alle realtà sociali ed economiche che mutano sempre più velocemente. Per questo difendere l’intoccabilità del testo costituzionale significa di fatto assegnargli una patina di testo nobile e antico ma nello stesso tempo troppo antico, estraneo alle nuove generazioni e quindi oggetto di tutta la discrezionalità nell’interpretarlo; ciò che poi avviene di fatto creando fratture politiche che si potrebbero o evitare o rndere meno acute. A me pare per esempio che il ventennio berlusconiano favorito sicuramente dal monopolio televisivo Fininvest come unico contraltare alla TV pubblica sia stato possibile anche perché nel testo costituzionale, scritto quando la TV in Italia non esisteva ancora, non ci sono norme né sui monopoli televisivi né sui conflitti d’interesse: non ci sono nell’articolo 21 che riguarda l’informazione e l’art.41 sulla libertà d’impresa ha ammonimenti troppo generici per rappresentare un vincolo al monopolio ( come per esempio indubitabilmente c’è circa l’istruzione privata). Legiferare su questo terreno, anche qualora lo si voglia fare, come è certo bene fare prima o poi, esporrà sempre la legge che ne esce a ricorsi costituzionali di fronte al testo costituzionale vigente. Che invece lascerà molto più libero il legiferare a favore del monopolio come infatti è accaduto con la legge Mammì che l’allora Presidente della Repubblica, vale a dire Cossiga, è stato ben lieto di avvallare con la sua firma.

Penso che ci sia buona fede in molta opinione di chi difende, anche se in modo acritico, la Costituzione Italiana, ma è necessario fare uno sforzo di comunicazione per convincere buona parte di questa opinione che una revisione va fatta in omaggio a tutta quella popolazione italiana che ha meno di novantun’anni, l’età minima oggi di coloro che hanno fatto in tempo a votare per l’assemblea costituente. Si possono non toccare per esempio tutti i diritti che la Costituzione garantisce dal momento che restano attuali e implementare il testo arricchendolo con altri diritti e tutelando quelli che già ci sono con nuove norme costituzionali, come s’è detto sopra per le TV.

Ciò che invece si può e si deve aggiornare è tutta la parte che attiene alle istituzioni rappresentative e ai sistemi elettorali. Qui si il barricarsi nello scandalo se se ne mette mano è atteggiamento passibile maggiormente di sospetto di non troppa buona fede. Il parlamento italiano, anche se con molta pressione governativa, si è concentrato su questo aggiornamento con una convinzione di fondo che solo atteggiamenti iperideologici non vogliono vedere: il castello di pesi e contrappesi istituzionali come il bicameralismo e il potere concesso alle rappresentanze partitiche dalle più consistenti fino a quelle minime nei settant’anni repubblicani sono stati sempre l’ostacolo maggiore per una democrazia funzionante; d’altra parte hanno costituito il lasciapassare a tutte le tattiche ostruzionistiche possibili soprattutto a quelle che hanno interesse a mantenere inalterate le situazioni pregresse, favorevoli solo al ramificato sistema corporativo italiano, fonte di privilegi, e quindi di ingiustizie, in tutti i campi della vita sociale, civile ed economica. La parte Istituzionale della nostra Costituzione si è in definitiva dimostrata solo garante del vero partito ombra trasversale italiano, quello dei conservatori ad oltranza, che hanno come loro programma il principio gattopardesco che, mai in nessun modo e in nessun luogo, “nulla cambi”. Il recente film di Checco Zalone, “Quo vado”, un po’ superficiale ma gustoso ed efficace, ne ha rappresentato bene, forse con una malcelata punta di compiacimento, molte applicazioni soprattutto nel settore pubblico e che potrebbero essere replicate per il settore privato.

Il fronte conservatore anche nelle sue migliori componenti intellettuali si sta mobilitando per mettersi di traverso alle riforme istituzionali, perché il partito del NO nel nostro paese ha molte facce. E’ auspicabile che quantomeno il confronto con i favorevoli non diventi scontro ideologico. C’è da temerne infatti se è vero che insieme ai valenti costituzionalisti contrari a Italicum e Riforma del Senatosi va via via schierando tutta l’opposizione dell’arco parlamentare, compresi i consistenti e massicci movimenti populistici italiani. Questi, a parole, per acquisire facili consensi si ergono sempre a paladini del cambiamento e della lotta al privilegio, salvo poi trincerarsi anche loro , come in questo caso, nel vecchio testo costituzionale con una linea di conservazione pura. Mi sa tanto che anche per loro questa è la vera  natura, perché nella staticità delle situazioni possono continuare a far leva sullo scandalo, sullo scontento diffuso e sulla paura. Ed esistere all’infinito.