Potremmo dire che è quasi imminente (tra un mese, poco più poco meno) la somministrazione, agli studenti italiani, per il nono anno consecutivo (se non andiamo errati), delle cosiddette prove Invalsi dell’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione, e cioè dei test di matematica e d’italiano, riservati a tutti gli alunni delle classi seconde delle superiori (nel mese di maggio) e delle classi terze delle medie inferiori (a giugno, in occasione degli esami di stato).
Se le cose si svolgeranno come si sono svolte nell’ultima “tornata”, ossia nell’anno scolastico 2014-2015, allora vale di parlarne con qualche anticipo.
Lo scopo di tali prove dovrebbe essere quello di valutare i livelli di preparazione degli studenti italiani, anche al fine di allineare gli apprendimenti a degli standard nazionali. Mi soffermerò solo sulle prove somministrate nelle seconde superiori, perché sono quelle che conosco più direttamente e dunque so per quali ragioni tali prove sono tristemente note, presso alcuni insegnanti, col nome di “invalidi” (test invalidi, altro che Invalsi).
La ragione ultima è presto detta: tali prove non soddisfano al loro scopo primario, che è quello di fornire una “fotografia” attendibile dei livelli di scolarità e di preparazione degli studenti italiani. Dunque, vediamo perché.
Anzitutto va detto che tali prove vengono somministrate simultaneamente in tutta Italia in una stessa giornata, ma (ed è questa la nota dolente) in un tempo continuativo di 90 minuti (prova d’italiano) più 90 minuti (prova di matematica), per un totale complessivo di 3 ore ininterrotte di test! Con buona pace del costume, ormai consolidato nelle scuole, di non sottoporre gli alunni a più di una verifica al giorno (ed in particolare non in ore consecutive).
In secondo luogo, tali prove sono rigorosamente anonime e non hanno alcuna ricaduta sul profitto scolastico degli alunni: molti dei quali ultimi, pertanto (e non dico tutti), essendo al corrente di tale circostanza, affrontano la prova con un impegno che è eufemistico definire assai scarso. E magari in qualche caso riempiono le schede di male parole o disegnini non precisamente castigati. In ciò consiste il secondo fattore d’inattendibilità della “fotografia”.
Terzo punto. Parecchi dei quesiti delle prove sono domande a risposta aperta, con quel che ne consegue sul piano della scarsa uniformità della “correzione” da parte degli insegnanti, che sovente valutano in modo difforme (giuste o errate?) le risposte alla stessa domanda, ad onta delle istruzioni, a volte lunghe e farraginose, che dovrebbero garantire l’anzidetta uniformità.
Dico “correzione” tra virgolette perché in realtà, invece, nella maggior parte dei casi (cioè dei quesiti) non c’è proprio nulla da correggere: ciò di cui stiamo parlando è infatti una mera trascrizione delle risposte degli studenti: una trascrizione dal fascicolo cartaceo che essi hanno compilato ad un’apposita maschera video sul sito Invalsi.
E’ un lavoro tanto lungo, ingrato e faticoso, quanto in realtà stupido, per il quale non è affatto necessario essere insegnanti o laureati: quasi chiunque, infatti, purché non completamente analfabeta, è in grado di copiare le lettere o i numeri (che identificano le risposte scelte dagli studenti) da una scheda cartacea ad una digitale.
Da tale circostanza discende una certa irritazione degli insegnanti “precettati” per la bisogna (tipicamente quelli d’italiano e matematica), con la conseguente approssimazione del lavoro di trascrizione: ho copiato la risposta “d” anziché la “b”? Vabbè, fa niente, andiamo avanti, pur di finire la tortura. E tale approssimazione è un ulteriore fattore di inattendibilità della “fotografia”.
Per inciso, non si capisce per quale ragione i test non vengano somministrati in forma di schede a lettura ottica, allo scopo non tanto di ridurre l’esasperazione dei “trascrittori” quanto soprattutto di abbattere la quota di trascrizioni errate che la digitazione manuale porta inevitabilmente con sé.
Da ultimo va considerato che, non essendo più nella scuola i programmi scolastici strettamente prescrittivi (e infatti all’inizio di ogni anno viene stilata dai docenti una “programmazione” annuale, sulla base delle “linee guida” ministeriali di ciascuna disciplina), non è detto che gli studenti che non sanno rispondere a certi quesiti Invalsi siano necessariamente dei somari che non hanno studiato e non hanno appreso nulla: magari hanno una preparazione eccellente su altri argomenti interessanti e su abilità bellissime.
Ma, si dirà: bisogna garantire, infine, che su certi àmbiti e certe conoscenze (che so, l’ortografia e le competenze lessicali, per restringerci all’italiano) si consegua una certa uniformità di preparazione scolastica. Benissimo, ma allora bisognerebbe non mettere il carro davanti ai buoi: bisognerebbe (prima di verificare il conseguimento di tale livello standard di preparazione) stabilire con chiarezza e precisione quali sono le conoscenze e le competenze su cui sicuramente tutti gli studenti italiani devono venir preparati nel corso dell’anno, onde poter affrontare le prove Invalsi.
Morale della favola? La “fotografia” Invalsi è mossa, sfocata, inattendibile; e probabilmente gli studenti italiani risultano essere più somari di quanto effettivamente non siano. Insomma, fatto in questi termini, il gioco non vale la candela ed è come le famose vie dell’inferno, che sono notoriamente lastricate di buone intenzioni…

Nato a Napoli nel 1953, vive e lavora da quarant’anni a Milano. Insegna lettere nella scuola superiore. Ha collaborato con agenzie pubblicitarie, con società di ricerche di mercato e con numerose testate specializzate in management, packaging, marketing, edilizia, arredamento. Ha pubblicato con la Mondadori alcuni testi scolastici e di recente una raccolta di brevi saggi di costume dal titolo “La bussola del dubbio”.