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E alla fine tutto si semplifica, anche troppo: sarà maschi contro femmine. Eliminati, o inglobati, gli altri concorrenti, ormai Donald Trump e Hillary Clinton si avviano a giocare la partita per le Presidenziali USA al livello più elementare, quasi primordiale: da una parte un candidato di sesso maschile, che del sesso e del maschilismo fa uno dei sui cavalli di battaglia, dall’altra una candidata di sesso femminile, che giocherà la sua fierezza “di genere” come carta decisiva per arrivare alla Casa Bianca.
A destra, Donald Trump è già sceso sponte sua ai gradini più bassi; per scelta, ha ridotto da subito la sua campagna elettorale ad una serie di slogan da caserma. Cambia il consulente per la comunicazione, cambiano i contesti, e magari lo stile si smussa un po’; però il filone è quello. E gran parte dei voti che riceverà li avrà conquistati proponendosi come “maschio”, e come “maschio dominante”.
A sinistra, la Clinton forse sperava di poter condurre la sua campagna elettorale su ben altri piani, facendo valere la sua competenza e le esperienze di governo, prima che la propria femminilità. Ma per certe delicate vicende legate proprio alla sua esperienza di persona di potere, e quindi per il progressivo indebolirsi della sua autorevolezza, alla fine non le resta altra scelta: punterà con forza sul voto delle donne (che non sopportano Trump), scommettendo sul rosa del proprio vestito molto più di quanto avrebbe immaginato di fare.
Benedetta America: è proprio vero che rappresenta il mondo e il genere umano più di quanto siamo disposti ad ammettere. Con meno infingimenti, con meno parrucche e parrucchini, gli Americani ieri si sono regalati il primo Presidente di colore, e domani si confronteranno sulla possibilità di avere il primo Presidente donna. La vedo già, la maratona delle ultime ore in attesa dell’esito delle votazioni: sui tabelloni, gli Stati conquistati da Trump si coloreranno via via di azzurro, mentre si accenderanno di un bel rosa speranza quelli che andranno alla Clinton.