Il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) tra USA e UE, ormai è quasi certo, non vedrà mai la luce. Troppe diffidenze dall’una e dall’altra parte e il tempo per appianarle è ormai poco. Perché o si chiude la negoziazione durante l’amministrazione Obama, il più convinto e determinato sostenitore dell’operazione, o non se ne fa più niente. Sia se (tocchiamo ferro) il prossimo inquilino della Casa Bianca sarà Trump, che vede il trattato come il fumo negli occhi perché la sua narrazione politica è incentrata su isolazionismo commerciale e (presunta) difesa dei posti di lavoro degli americani, sia se vince Hillary che non ha convenienza politica ad insistere sul TTIP, condizionata dal un lato dal populismo di The Donald e dall’altro dalla posizione molto critica di Sanders che vede nel trattato il trionfo degli interessi delle Multinazionali e pericoli per l’ambiente.
Meno che meno c’è convenienza politica a spendersi per il TTIP su questa sponda dell’Atlantico. Al Trattato si oppongono tutti i partiti euroscettici, dall’UKIP di Farage al Front National, Greenpeace e una vasta parte di opinione pubblica. Non fa certo eccezione il nostro Paese, dove quando si tratta di dire NO a qualcosa (che siano le trivelle, la TAV o il Palais Lumière.. va bene tutto) c’è subito qualcuno che si “arrapa”. La campagna STOP TTIP vanta una miriade di promotori e sostenitori, alcuni dalle denominazioni molto fantasiose, a testimonianza dell’inarrivabile creatività dell’associazionismo in Italia. Schierati ed agguerriti contro le mire di Obama troviamo tra gli altri l’Associazione Sonia per un mondo nuovo e giusto, il Comitato Lavoratori Cileni Esiliati, i #Salvaiciclisti Monopoli, quelli di Sbilanciamoci, la Sinistra Anticapitalista, il Partito Pirata e Medici senza camice. Facezie a parte, gli STOP TTIP non sono solo carneadi: vi fanno parte circoli di CGIL, di Legambiente, dei Cinquestelle, Rifondazione Comunista, la LAV (si, anche la benemerita LAV) e gode della simpatia di Italia Nostra, di Greenpeace Italia e vanta testimonial preziosi… insomma un’opposizione compatta e corale. Se poi, aggiungo io, si desse pubblicità al fatto che Renzi è fortemente a favore della firma del Trattato, apriti cielo, le adesioni si moltiplicherebbero …
Eppure, il Trattato è concepito per eliminare gli ostacoli per la libera circolazione di mezzi e servizi tra USA e UE. Ostacoli tariffari (i dazi sulle merci) e non (diseallineamenti normativi). Si creerebbe l’area di libero scambio più grande del pianeta, sarebbe più facile esportare ed importare merci e quest’ultime ci costerebbero meno. Ora, non c’è dubbio che, almeno in linea di principio, è questa la direzione della modernità… Da sempre l’eliminazione di dazi e l’unificazione normativa sono oggettivamente un segno di progresso. Nel Medioevo c’era una stazione di dazio ad ogni crocevia, ad ogni ponte, ad ogni guado.. La circolazione delle merci e tutto ciò che la favorisce è sempre stata sinonimo di ricchezza e benessere.
Perché allora questa avversione? Perché il TTIP è accusato di una serie infinita di nefandezze. Per motivi di spazio non tento neppure di elencarle ma invito a andare sul sito della Commissione Europea http://europa.eu e scaricare il pdf 10leggendeTTIP (c’è anche la versione in italiano). Sono descritte meticolosamente le 10 principali obiezioni al TTIP che vengono definite leggende e vengono smontate una per una. Quello che colpisce, leggendo le esaurienti spiegazioni della Commissione, è lo iato tra le realtà delle cose e la percezione che è permeata nell’opinione pubblica, cui sono state date in pasto convinzioni prive del minimo riscontro. Insomma, siamo alla Milano dei Promessi Sposi, gli untori non esistono ma tutti sono convinti del contrario. Al punto che un comico/guitto può impunemente raccontare in televisione la colossale balla che il TTIP farà arrivare sulle nostre tavole polli trattati alla candeggina.
Eppure il TTIP porterebbe alle imprese ed ai consumatori europei vantaggi significativi. Per esempio, senza intaccare gli standard di qualità dei prodotti, e tanto meno il principio di precauzione, si armonizzerebbero i metodi di controllo oggi differenti che oggettivamente rappresentano per le imprese dell’una e dall’altra parte extra costi che impediscono una reale competitività nei rispettivi mercati. Faccio solo un esempio eclatante: le ostriche. Oggi i test batteriologici in Europa analizzano l’ostrica mentre in America l’acqua in cui è allevata. L’equivalenza dei due meccanismi è provata scientificamente ma ad oggi questa diversità fa si che le ostriche francesi ed italiane non siano certificate per l’importazione negli USA privandole della possibilità di allargare i propri mercati.
Interessante anche la questione dei dazi: questi mediamente non sono altissimi ma vi sono punte che rendono di fatto impossibile ogni scambio. E gli europei sono quelli che fanno più le spese di questa situazione: importiamo prodotti americani più cari del dovuto perché gravati da dazi e contemporaneamente il mercato americano ci è precluso perché i dazi rendono le nostre merci (per esempio nel tessile e nei prodotti caseari, dove l’Italia avrebbe eccome da dire), non competitive.
Per chi avesse dei dubbi, ci sono precedenti chiarissimi: l’UE ha sottoscritto un accordo di libero scambio con la Corea del Sud. Da quando è in vigore sono decuplicate le esportazioni verso la Corea di numerosi prodotti e sono calati i prezzi di telefonini Samsung e televisori LG.
Senza contare infine che un’area di libero scambio così vasta fatalmente spingerà i paesi meno sviluppati ad armonizzare a questa i loro standard, a tutto vantaggio della loro appetibilità come partner commerciale.
Ma, come detto all’inizio, non se ne farà nulla. Un’altra vittoria del Medioevo di ritorno che avvelena la civiltà contemporanea.

Nato a Venezia, vi ha sempre risieduto. Sposato con una veneziana, ha due figli gemelli. Ingegnere elettrotecnico, ha lavorato all’Enel dal 1987 al 2022, è stato Responsabile della distribuzione elettrica della Zona di Venezia e poi ha svolto attività di International Business Development Manager, lavoro che lo ha portato a passare molto tempo all’estero. È stato presidente del Comitato Venezia Città Metropolitana, esponente di Venezia Una&Unica. È in pensione dal 2022