Già in numerose altre occasioni la nostra testata si è occupata della violenza di genere
http://www.luminosigiorni.it/2016/03/diritto-di-vivere/
http://www.luminosigiorni.it/2014/11/contro-la-violenza-sulle-donne-ci-vuole-rivoluzione-culturale/
http://www.luminosigiorni.it/2014/07/grido-di-dolore/
http://www.luminosigiorni.it/2013/05/la-piaga-del-femminicidio/
che non accenna affatto a regredire. Ritorno sul tema per cercare di capire qualcosa di più dell’origine, delle cause e quindi delle possibili risposte che deve fornire la società.
La ricerca EURES citata dall’articolo di Luisella Aprà sopra ricordato riporta (dati del 2013 ma sostanzialmente invariati ed anzi piuttosto costanti negli anni) questa triste contabilità: 502 omicidi in totale, di cui 179 con vittime donne. Da questi 179 escludiamo gli omicidi dovuti a criminalità comune, motivi di denaro e interesse e quant’altro perché in questi casi il sesso della vittima non è rilevante e quindi ci porterebbe fuori strada nell’analisi. Concentriamo l’attenzione sugli assassinii di donne da parti di mariti, fidanzati, compagni ed ex a vario titolo e frutto di una concezione malata e proprietaria dell’uomo nei confronti della donna. Quelli che oggi chiamiamo femminicidi. Ebbene, ne registriamo 80: circa un omicidio su 6 in Italia è causato da una relazione di genere malata. Da far venire i brividi.
All’interno di questi 80 casi si distinguono due tipologie da tenere distinte perché diverse sono le circostanze scatenanti, le situazioni in cui si verificano e conseguentemente anche molto diverse le possibili contromisure: 50 cosiddetti ‘passionali’ (termine che detesto perché vagamente giustificatorio ma tanto per capirsi) e 30 che potremmo definire tragiche evoluzioni di litigiosità quotidiana.
Questi ultimi sono gli esiti tragici della realtà, già drammatica di per sé, della violenza domestica e rappresentano evidentemente solo la punta dell’iceberg del fenomeno: dietro quelle 30 morte ammazzate ci sono migliaia di donne picchiate dal marito, dal fidanzato, dal compagno. E a cascata spesso migliaia di figli costretti ad assistere terrorizzati alle violenze (se non essi stessi esserne vittima). Figli che restano comprensibilmente segnati dall’esperienza con ricadute fisiche, psicologiche, sociali e sono a rischio anche di replicare lo stesso comportamento una volta adulti (e quindi nuovi aguzzini e nuove vittime). Insomma una tragedia sociale che si può e si deve contrastare, garantendo i fondi di sostegno alle donne che trovano il coraggio di denunciare le violenze subite, tenendo alta l’esecrazione sociale per i comportamenti violenti, prevedendone la punibilità anche d’ufficio (ovvero non necessariamente su querela) e, non ultimo, agendo anche sui potenziali carnefici alla prime avvisaglie di comportamenti violenti. La violenza contro le donne è infatti anche espressione di una difficoltà di chi la agisce (sovente legata all’alcolismo). Esistono lungimiranti e lodevoli iniziative di questo genere (si veda per esempio http://www.associazionerelive.it/) che vanno valorizzate. Il Consiglio di Europa ha approvato la Convenzione di Istanbul per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza e perseguire i trasgressori. Insomma, una battaglia asperrima ma che si può e si deve vincere.
Venendo ai 50 femminicidi passionali, armi assai più spuntatie, temo, si hanno nei confronti dei maschi (di norma ex o “quasi ex”) che deliberatamente uccidono o, con variante per certi versi ancora più perfida, sfregiano la donna che li rifiuta. Perché talvolta imprevedibili (quante volte abbiamo letto di qualche svitato che sembrava avesse accettato la fine della relazione e poi..) e, pure se sono preceduti da manifestazioni di stalking, comunque più sfuggenti e meno identificabili della violenza domestica. Lo stalking può essere assai subdolo: anche solo farsi vedere sotto le finestre della ex con costanza ossessiva finisce facilmente con l’essere una forma di persecuzione ma quanto meno certificabile, per esempio, del rapporto del medico del Pronto Soccorso che si trova una donna con segni di percosse..
Inoltre, temo che sia ormai il caso di prendere atto che sia utopico cullarci nella tesi, tutto sommato consolatoria, che tutto sia in sostanza riconducibile solo ad un problema di civilizzazione, di educazione ad una sana relazione di genere. Cioè che sia possibile una prevenzione dei femminicidi instillando in tutti gli uomini il concetto che la donna è un soggetto senziente al pari suo che sceglie, si autodetermina, che ha desideri, sguardi, pensieri ed aspettative che non sono nella disponibilità di alcuno se non di lei stessa. Intendiamoci: è un’azione fondamentale e necessaria (e impatta positivamente sull’altro genere di femminicidi) ma è illusorio pensare che sia questa la soluzione maestra. Illusione che mi sembra nutrire anche Michele Serra nell’appassionato (e come sempre di eccelsa scrittura) articolo su Repubblica di domenica 12 giugno. Scrive Serra “ciò che siamo è anche ciò che vogliamo essere. O che tentiamo di essere. Se non rubiamo non è solamente per il timore della punizione, o perché non ne abbiamo la stretta necessità economica. È perché abbiamo ripugnanza etica del furto.” La cosa in effetti funziona con il concetto di rubare: la riprovazione generalizzata ed etica del furto ha la funzione sociale di far sì che a rubare siano in pochi, così pochi che questi possano essere perseguiti senza doversi dotare di milioni di poliziotti. Ma certo non a far sì che nessuno rubi. Il problema nel caso del femminicidio è invece il fatto che non sono ammesse eccezioni, 50 maschi assassini l’anno.. su quanti?, diciamo 25 milioni di italiani in età “da femminicidio”? Vuol dire uno su 500.000 , lo 0,00002%. Statisticamente nessuno. Nessuna campagna, nessuna opera di sensibilizzazione, nemmeno il più onnipresente e pervasivo ipotetico Grande Fratello potrebbe arrivare a tal livello di penetrazione. Non facciamoci illusioni: la battaglia contro gli stalker assassini è anche, e forse soprattutto, una piaga che si combatte con gli strumenti convenzionali utilizzati contro la criminalità comune.

Nato a Venezia, vi ha sempre risieduto. Sposato con una veneziana, ha due figli gemelli. Ingegnere elettrotecnico, ha lavorato all’Enel dal 1987 al 2022, è stato Responsabile della distribuzione elettrica della Zona di Venezia e poi ha svolto attività di International Business Development Manager, lavoro che lo ha portato a passare molto tempo all’estero. È stato presidente del Comitato Venezia Città Metropolitana, esponente di Venezia Una&Unica. È in pensione dal 2022