Il volto impegnato e pensieroso della lettrice raffigurata nel quadro di Matisse che accompagna questo articolo, potrebbe ben riflettere l’immagine di un’ Europa impegnata a riflettere sulle cose che non stanno funzionando.
In Ungheria, il premier Viktor Orban non gradisce affatto la decisione della Commissione affinché tutti gli stati membri dell’Ue si facciano carico di una quota dei rifugiati arrivati in Europa, al punto che ha promosso una referendum popolare per il prossimo 2 ottobre per ostacolare questa decisione.
In Polonia, il Primo Ministro Beata Maria Szydlo mal sopporta la decisione della Commissione di voler monitorare il Governo polacco, reagendo in modo duro alla procedura avviata pochi giorni fa dalla Commissione contro il tentativo del suo governo di controllare la Corte Costituzionale polacca.
In Olanda, un recente Referendum sul trattato associativo dell’UE con l’Ucraina, impedisce l’entrata in vigore di un Trattato già ratificato dagli altri Stati dell’Unione.
In Austria e Francia, così come in altri paesi dell’Unione, movimenti populisti chiedono con insistenza referendum sulla permanenza nell’Unione.
La Turchia, che non fa parte dell’Unione, ma che l’Unione Europea non può ignorare, è in ebollizione.
A breve, inoltre, l’Unione Europea, dovrà seriamente decidere chi dovrà negoziare con il Regno Unito dopo l’esito dell’altro referendum su Brexit.
Sarà , infatti necessario capire se sarà la Commissione Europea con il negoziatore designato Michel Barnier, oppure se questa incombenza sarà affidata al Consiglio europeo cioè ai Governi.
La scelta è molto importante perché, oggettivamente nel primo caso la Commissione consoliderebbe il suo ruolo politico, mentre nel secondo caso si consoliderebbe l’idea di un’Unione sempre più intergovernativa.
A questi temi, si aggiungono almeno altre tre rilevanti questioni concrete: immigrazione, sicurezza ed economia, rispetto ai quali l’Unione deve da subito cercare di recuperare con una posizione comune, per esempio sul tema dei richiedenti asilo e dei respingimenti alla frontiere.
A questo proposito perché non costituire dall’autunno un corpo di Guardia di frontiera europeo e perché non avviare un dibattito approfondito sull’estensione dei diritti come mezzo per raggiungere l’unità politica?
Analogamente, sulla sicurezza, è necessario un maggior sforzo di cooperazione tra polizie, ipotizzando anche in questo caso di costituire una centrale di coordinamento investigativo, proprio come ha di recente suggerito il capogruppo dei liberali al Parlamento Europeo Guy Verhofstadt.
Rispetto all’economia, perché non avviare un grande piano per il raggiungimento di forme di fiscalità accentrata, implementando allo stesso tempo le ben note regole relative al sistema bancario?
Diversamente, e cioè se inerzia ed assenza di comuni azioni per superare questi esami continueranno a caratterizzare i prossimi mesi della vita politica Europea, il rischio concreto potrebbe essere quello di tornare indietro verso una debole alleanza di stati sovrani in una zona di libero scambio che purtroppo non sarebbe il divertente titolo di un film di Lina Wertmuller, quanto piuttosto la presa d’atto di un pericoloso e ingiusto fallimento politico.

Nasce a Bassano del Grappa nel 1980, cresce a Venezia e si laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Ferrara con una tesi in Diritto Costituzionale seguita da Roberto Bin e Giuditta Brunelli. Nel corso dell’Università studia materie giuridiche presso la facoltà di legge del King’s College di Londra.
Nel 2007 consegue il Master in Istituzioni parlamentari europee e storia costituzionale, diretto da Fulco Lanchester presso l’Università “La Sapienza” di Roma, con una tesi finale su: Elezioni primarie tra esperimenti e realtà consolidate seguita da Stefano Ceccanti.