Quasi ci siamo: il 4 dicembre si voterà e in base al risultato del referendum avremo o meno una Costituzione modificata. Dico “modificata” per il banale motivo che i cambiamenti sono davvero pochi e non giustificano l’uso del più impegnativo “nuova”. Non voglio, però, entrare in troppi dettagli, ma semplicemente spiegare perché domenica 4 dicembre voterò sì:
- Si mette fine al bicameralismo perfetto, anomalia tutta italiana figlia del momento storico del secondo dopo guerra e quindi dell’esperienza fascista. Comprensibile la sua origine, ha evidenziato nei quasi settant’anni di vita gravi limiti. La contrattazione continua per ottenere l’appoggio ai provvedimenti, persino di singoli parlamentari in ben due camere di pari importanza, è la principale causa dell’instabilità politica del paese e della pessima qualità della produzione legislativa: vale a dire di entrambi i problemi di fondo dell’Italia. Decisioni e norme vanno discusse e quindi stabilite senza essere stravolte. Poi giudicate per l’efficacia. Favorisce la possibilità di compiere scelte e di farle al momento opportuno.
- Si restituisce al governo centrale la facoltà di procedere anche in assenza dell’accordo delle amministrazioni locali. Questo quando l’interesse nazionale ne risulti danneggiato. È, infatti, evidente come la sindrome Nimby, non nel mio cortile, continui a colpire da Nord a Sud, impedendo la risoluzione di autentici drammi. Deve esistere un decisore finale, indipendente dalla pressione degli interessi particolari. Interviene a favore dei tanti contro gli interessi dei pochi.
- Si elimina per sempre il pericolo del tricameralismo, così come il costituente aveva abbozzato creando il CNEL. Questo sì un evidente residuo del corporativismo fascista. Non è mai decollato, per fortuna, ma è venuto il momento di cassarlo, punto e basta. Elimina istituzioni inutili.
- S’inizia a tagliare il numero dei parlamentari, davvero troppi sotto ogni punto di vista. Un numero tale che di per sé rappresenta un inutile peso e moltiplica le opportunità di successo per i portatori di interessi particolari. Riduce i costi della politica, subito, e quelli generali della democrazia, in seguito.
Quattro motivi sufficienti per scegliere di approvare. Detto questo, sia chiaro, avrei preferito qualcosa di più radicale. Il Senato lo avrei abolito e basta, la Camera ridotta a non più di 500 deputati, soppressi il CNEL, le Province, le Regioni a statuto speciale, conservata la sola Provincia Autonoma di Bolzano perché legata a un trattato internazionale. Fissato a due il numero massimo di mandati per un Presidente della Repubblica in carica per quattro anni come il Presidente del Consiglio. Già che ci si metteva mano, avrei pure drasticamente ridotto il numero delle regioni, 20 sono un’enormità, per non parlare di quello, osceno, dei Comuni. Il numero non c’entra con la Costituzione? Ottima occasione per inserirlo, così non sarebbe più stato tanto facile aumentarlo.
Insomma, ritengo il testo proprio il minimo che si potesse fare. A volte è di sicuro inutilmente complesso, per non dire altro. Per “mutare verso”, come recita un noto slogan, bisognava affondare il bisturi nella carne viva. Non è stato fatto, penso anche perché le attuali norme non hanno permesso di meglio. Mettiamola così: lo considero il primo, piccolissimo, passo verso un vero cambiamento. Certo, non fare nemmeno questo mi sembrerebbe davvero da masochisti. E allora voterò sì.

Federico Moro vive e lavora a Venezia. Di formazione classica e storica, intervalla ricerca e scrittura letteraria, saggistica, teatrale. È membro dell’Associazione Italiana Cultura Classica e della Società Italiana di Storia Militare.
Ha pubblicato saggi, romanzi, racconti, poesie e testi teatrali.