Nell’ imminente referendum costituzionale l’incertezza perdurante dell’esito e la speranza che i sondaggi negativi per il SI sbaglino ancora come con Brexit e con Trump non deve farci nascondere che la partita perché le Riforme si affermino è comunque al momento molto difficile e complicata. Per numerose ragioni “combinatamente disposte”, tanto per usare un termine ormai popolare.
La partita difficile e complicata lo è stata fin dall’inizio in verità, soprattutto dopo i voltafaccia verso il NO compiuto dalle forze politiche che avevano votato le Riforme, includendo ovviamente tra questi voltafaccia anche la parte del PD legata a Bersani ( dovremmo cominciare a chiamare questa parte ormai stabilmente ‘destra PD’ viste le alleanze in questa partita e il conservatorismo che la ispira ). Perché è vero che Il computo delle cifre dei consensi elettorali per i partiti che appoggiano un SI o un NO nei referendum non è, come ben si sa, sempre matematico, ma è altrettanto vero che questo computo qualcosa conta sempre. E le cifre nude e crude dei pro-NO ad una semplice e veloce osservazione dei dati di partenza avrebbero dovuto e potuto dichiarare la partita persa fin dall’inizio. Nonostante ciò Renzi, che questi conti in partenza li ha certamente fatti, ha voluto mostrare la faccia con una buona dose di rischio anche per il suo futuro personale. Questo coraggio è una delle qualità che gli va riconosciuta e che lo diversifica nettamente da tutti i suoi predecessori nei governi repubblicani, sempre in tutte le epoche portati ad una iperprudenza nel toccare equilibri e privilegi, sovente millantata come virtuosa politica della mediazione. Sul terreno delle Riforme vere, almeno su alcune, non si potrà mai dire, vada come vada, che Renzi non ci abbia provato fino in fondo, spingendo la partita fino all’ultimo minuto utile, quello che scadrà il 5 dicembre.
Bisognerà tuttavia prepararsi a dare una lettura attenta e lucida della possibile vittoria del NO per predisporsi ad una nuova stagione nella quale nulla di ciò che è stato fatto in questi anni, dalla prima Leopolda in poi, vada disperso.
La più immediata lettura da scandire a chiare lettere la sera stessa dei risultati ( ma bisognerà continuare a dirlo anche nei prossimi ultimi quindici giorni di campagna referendaria) è quella che un NO eventualmente vincente avrà sancito la vittoria di tutti i populismi nostrani e delle forze che in Italia dichiaratamente sono sempre state eversive rispetto a quella Costituzione Repubblicana che ora dichiarano spudoratamente di voler difendere.
La vittoria sarà solo loro.
Chi scrive è da molto tempo a favore del superamento nella dialettica politica dell’obsoleto binomio destra/sinistra almeno nelle forme e nei significati con cui si è manifestato negli ultimi centocinquant’anni della nostra storia. Ma se questo binomio ha ancora un senso, quantomeno evocativo, la vittoria del NO sarà allora solo una vittoria della peggior destra che l’Italia abbia mai messo insieme, includendo in essa anche l’accozzaglia demagogica e forcaiola dei Cinque Stelle. Con reggicoda i cascami di una veterosinistra retorica, abituata a dire NO per costituzione, sempre, e non solo in questa occasione, datata e in via di estinzione, ma disposta come ultima spiaggia a far fronte comune con chi sulla carta dovrebbe essere distante anni luce, ma evidentemente, per la sempre buona proprietà transitiva, troppo distante non è. E’ sintomatico al riguardo che, anche tra i semplici cittadini votanti, ci sia gente pomposamente sedicente di sinistra che non provi alcun imbarazzo o vergogna a dichiarare che unirà il suo voto per il NO, fondendolo nel crogiolo dall’urna, a quello della sopracitata filiera che fa capo allo xenofobo e omofobo e lepenista Salvini, il Trump de ‘noaltri’ ( e su Trump condivido il giudizio che Annalisa Martino ci dà in questa pagina di LUMINOSI GIORNI). Certo, proveranno sicuramente anche Bersani e le statue di cera alla Zagrebelsky e alla Settis a intestarsi un’eventuale vittoria del NO, ma andranno respinti con forza nell’angolo nel quale si sono ficcati mettendoli davanti alla responsabilità che si saranno presi nel favorire coloro che a parole dovrebbero essere i primi avversari della loro “costituzionale” visione del mondo (loro rinfacciano al SI quando possono gli Alfano e i Verdini come se, soprattutto numericamente per determinare la sorte referendaria, fossero la stessa cosa).
Questo come preambolo irrinunciabile di ciò che si dovrà scandire dal 5 sera in avanti con qualsiasi esito numerico esca fuori dallo spoglio. Preambolo a una ulteriore più ampia osservazione e analisi dei dati e di ciò che è accaduto che determini poi una conseguente azione. Infatti al carattere variegato e sbrindellato di un fronte del NO unito quasi per caso in questa circostanza, ma presumibilmente disunito su tutto subito dopo il risultato referendario, comunque vada, potrebbe fare da contraltare un risultato del SI, vincente o anche non vincente, prodotto però da una compagine di votanti molto più compatta e omogenea, capace di riconoscere in Renzi un punto di riferimento affidabile. E’ la forza di un potenziale partito-movimento più allargato che può in prospettiva maturare presto e reggersi autonomamente con valori percentuali più alti dell’attuale PD se è vero che il SI avrà numeri comunque più alti del 30-33% su cui il PD resta inchiodato ancor oggi e non da oggi. Perché la scadenza referendaria ha fatto crescere più di prima una coscienza comune attorno al progetto di Renzi, fidelizzando un rinnovato corpo elettorale che già ora, nei pronunciamenti, con ancora davanti due settimane, si è dimostrato più coeso, capace di comprendere il disegno riformatore. Se il SI si avvicinerà al 50% superandolo o rimanendo anche non troppo sotto o comunque anche con qualsiasi cifra, Renzi ha la possibilità di capitalizzare subito questa nuova dote, non solo ovviamente se avrà vinto ( ma questo è un altro scenario), ma anche se non ce la farà. A differenza del fronte avverso in cui il bottino di voti sarà di tutti e di nessuno, la percentuale che voterà SI sarà tutta sua e disponibile a continuare a seguirlo. Insomma la ‘conta’ non sarà stata inutile e non faccio fatica a pensare che, anche fosse solo per questo, Renzi abbia giocato volentieri una partita rischiosissima, la stessa ottima ragione che deve spingere il fronte del SI a lottare fino al 4 dicembre sera, sondaggi o non sondaggi.
Se seguiamo il ragionamento che fa Davide Meggiato in questa stessa pagina di LUMINOSI GIORNI una sconfitta del SI impone a Renzi, che non vuole essere un ‘pollo’, le dimissioni. Per coerenza prima di tutto, recuperando, ma lo sta già facendo in queste ore, quello che aveva detto fin dall’inizio e che poi sotto pressione ha dovuto ridimensionare: l’approvazione definitiva delle Riforme è strettamente legata alla vita del governo e di conseguenza della legislatura. E poi se terrà duro, se continua a guidare il Partito in una difficile fase di crisi governativa, non piegandolo a compromessi, questo Parlamento non ha maggioranze possibili alternative all’attuale. Quindi elezioni; che andranno affrontate capitalizzando al più presto proprio il fresco consenso avuto al referendum, qualsiasi sia la percentuale uscita dall’urna.
Con un’avvertenza che mi auguro venga fatta presente a Renzi da chi gli è vicino. In caso di elezioni va molto migliorata la sua comunicazione. In questo referendum infatti, soprattutto se prevarranno i NO ma anche se accadesse il contrario con i NO presumibilmente molto alti in ogni caso, ciò vorrà dire che tutto il buono e il positivo delle Riforme, che c’è indiscutibilmente, è passato solo in parte, non ha convinto una larga maggioranza. Non è stato comunicato efficacemente in modo diretto a tutti, ma anche indirettamente con la dovuta visibilità degli atti e delle buone scelte governative che avrebbero potuto fare da traino. Proprio perchè si partiva in minoranza la comunicazione di una ‘cosa buona’ avrebbe potuto e dovuto essere la leva determinante in grado di ribaltare l’esito con larghezza e così fino ad ora non è stato, a prescindere dall’esito. E’ un dato di fatto ed è un problema, quello di una comunicazione parziale e rivolta solo ad una parte della platea, che Renzi si trascina fin dall’inizio della sua era nella quale ha dovuto lottare da solo; da solo contro una federazione di avversari trasversale, che ha avuto nei mass media nazionali un megafono, se non in tutti stabilmente avverso, in larga misura stabilmente scettico, proprio sullo stesso terreno della comunicazione dove non si può mai fallire. Se un fruttivendolo ha delle buone mele ma non le espone altrettanto bene sul banco, la gente non le compera. E non perchè non ci siano, ma perché, seppur ci sono, non riesce a vederle e ad apprezzarle.

Carlo Rubini (Venezia 1952) è stato docente di geografia a Venezia presso l’istituto superiore Algarotti fino al congedo nel 2016. Giornalista Pubblicista, iscritto all’albo regionale del Veneto e scrittore di saggi geografici, ambientali e di cultura del territorio, è Direttore Responsabile anche della rivista Trimestrale Esodo.