La home page di LUMINOSI GIORNI presenta negli ultimi giorni almeno tre riflessioni che in qualche modo potrebbero avere il marchio del “politicamente S-CORRETTO”. Ovvio che per capire cos’è il “politicamente s-corretto” bisogna rifarsi al “corretto”.
Tra tutte le definizioni che mi sono andato a cercare di “politicamente corretto” una mi è parsa più convincente delle altre e val la pena riportarla:
Il “politicamente corretto” designa una linea di opinione e un atteggiamento sociale di estrema attenzione al rispetto generale e il commento continua: è una forma di conformismo linguistico, una sorta di pensiero unico che limita la libertà d’espressione oltreché una forma di ipocrisia istituzionale.
E’ la definizione più adeguata, anche se l’origine del termine è un po’ diversa. Ma oggi si attaglia soprattutto a questo significato.
E’ frequente poi che il ‘rispetto generale’ e il ’conformismo linguistico’ e ‘pensiero unico’ a cui si riferisce questa definizione non vadano applicate a tutto l’insieme di una comunità o a un’opinione generale, ma una per così dire “generalità parziale”. E’ il “politicamente corretto” di una parte e può capitare che ciò che è “corretto” per una parte sia “s-corretto” per l’altra e viceversa. Qui è più facile districarsi, almeno sembra. Ma capita anche in alcuni casi che veramente ci sia un ‘pensiero unico’ apparentemente generalizzato e che non ci siano i modi per reagire senza essere coperti di insulti, da parte dei portatori di un’impostazione che sentiamo come parziale e limitata ma a cui non sappiamo opporci.
Qui su LUMINOSI GIORNI si è provato a ragionare senza farsi troppi problemi anche se si può star sicuri che ci sarà chi si scandalizzerà di tanto osare (è infatti frequente e consequenziale per il ‘politicamente corretto’ scandalizzarsi facilmente). Per esempio lo scandalo provocato dall’infelice uscita ( nei modi, per esser chiari, pessimi, molto più che nel contenuto) del ministro Poletti circa il fatto che non tutti i giovani che emigrano all’estero sono i migliori è emblematico. Dopo la sua maldestra uscita è partito il boato del ‘politicamente corretto’ tipico di chi pensa alla situazione italiana come la peggiore del Pianeta: non c’è lavoro di nessun tipo e i giovani, tutti i giovani, sono prima o poi ‘costretti’ ad andare all’estero per esprimere le loro eccellenze o le loro qualità che qui mai sono valorizzate. Come ti permetti di dubitarne tu, ministrucolo con l’aggravante di questi tempi di essere ‘renziano’ ( con il sospetto implicito per sillogismo dell’ispirazione ‘renziana’ della frase del ministro). Questa visione sulla obbligatorietà dell’emigrazione giovanile è trasversale, destra, sinistra, centro, non fa differenza. Davide Meggiato, andando giù un po’ con il machete, dissimulato da ironia, come è la sua cifra, invece ha provato a ragionarci un po’ su per vedere se la realtà è proprio quella descritta. E infatti suggerisce una lettura meno in bianco contro nero, ma con molti grigi intermedi.
Giulio Giuliani preferisce il fioretto, più affine al suo stile, per suggerire molto indirettamente che la proposta del Sindaco di Venezia Brugnaro di spostare in una zona di Mestre, più controllabile per la frequentazione, le mense per i poveri e gli sbandati al fine di bonificare certe zone dense della città, se attuata bene non è poi così sbagliata e può ottenere lo scopo senza creare emarginazioni. Come si ricorderà infatti la proposta aveva sollevato un coro di dissensi in quell’opinione solidaristica che sta tra il mondo cattolico e certa sinistra ideologica che gridavano alla creazione del ghetto e alla discriminazione razzistica: un altro bell’esempio di ‘pensiero unico’ di quell’area politico sociale per cui la solidarietà è sempre ‘politicamente corretta’ a prescindere e non si cura delle conseguenze e delle percezioni nella popolazione. E che per di più porta acqua a quel ‘politicamente corretto’ di segno opposto che non solo non farebbe le mense, ma se potesse manderebbe a casa ( o eliminerebbe fisicamente) tutti i bisognosi, specie se stranieri. Lo conosciamo bene questo “corretto” e sta diventando la gramigna d’Europa e d’America.
Infine il sottoscritto, riferendosi alla trasmissione di RAI 3 su Venezia che drammatizzava in modo grottesco e caricaturale i mali veneziani, cercava di trovare una lettura più complessa in contrapposizione al mantra che vuole ormai Venezia ridotta A Disneyland e desertificata di attività autoctone se non quelle legate al turismo (anche questo mantra è un buon esempio di ‘pensiero unico’ trasversale che viene da lontano e che rifiuta di far fare alla città i conti con la modernità).
Sia chiaro c’è chi fa del ‘politicamente s-corretto’ un vezzo, un’identità personale. Ci sono dei bastian contrari permanenti, specie se con ruoli pubblici e molta visibilità e ascolto, che aspettano al varco un’opinione prevalente per farne immediatamente il controcanto. Così a memoria mi vengono in mente giornalisti come Massimo Fini o lo stesso Travaglio, oppure Vittorio Sgarbi e a modo suo lo era anche Marco Pannella. Massimo Cacciari ha pure questa attitudine, è uno ‘s-corretto’ militante da sempre, anche se in più di un’occasione ci pesca giusto. Ma se è solo un vezzo questo “politicamente s-corretto” perde di forza e diventa prevedibile e un’atteggiamento appunto da bastian contrari.
Se però il “politicamente s-corretto” è il rifiuto del conformismo acritico, del dogma senza contraddittorio, della semplificazione del problema. Se vuole vedere i pro e i contro in tutti i problemi, giudicare in modo ‘laico’ e non ideologico e prevenuto, se vede la complessità delle cose e non fa giustizie sommarie. Se suggerisce il ‘farsi carico’ senza scaricare responsabilità autoassolvendosi sempre. Bene se è tutto questo saremmo orgogliosi di provare ad esserlo. Indicando, con la nostra prassi e con il nostro stile, il dato che non sempre c’è il vero da una parte e il falso dall’altra e che non sempre torto e ragione sono alternativi. A volte si ha ragione in due, e capita più spesso che l’aver torto in due, una rarità questa. Magari due ragioni facessero sempre una somma virtuosa: si genererebbe un’energia creativa, superando questa esasperante conflittualità permanente.

Carlo Rubini (Venezia 1952) è stato docente di geografia a Venezia presso l’istituto superiore Algarotti fino al congedo nel 2016. Giornalista Pubblicista, iscritto all’albo regionale del Veneto e scrittore di saggi geografici, ambientali e di cultura del territorio, è Direttore Responsabile anche della rivista Trimestrale Esodo.